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In questi anni abbiamo corso così velocemente che dobbiamo ora fermarci perché la nostra anima possa raggiungerci. (Michael Ende) ---- A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro. Sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi. (Carl Gustav Jung)

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO:QUANDO LA BANDA PASSAVA...
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159. RECENSIONI 2012 di Roberto Latini

“WHEN LIGHTNING STRIKES”      Drakkar    -    2012

Anche se la band a volte pare vicina al sinfonismo, in realtà è più epico e folk, ma soprattutto è Heavy Metal, talvolta simile ai Manowar, talvolta tutt’altro. Le tastiere, anche se s’insinuano spesso con tappeti sonori e assoli, non vogliono raggiungere livelli che possano dire  musica sinfonica. “REVENGE IS DONE”  possiede una leggera atmosfera folk, ma in realtà è una classica cavalcata metal molto anni ’80. Personale ed efficace la linea melodica e la costruzione del brano, orecchiabile sì ma non troppo commerciale, con un ritornello che rimane nella testa senza essere scontato. Lungo e interessante la parte solista sia quello di chitarra ma soprattutto quello tastieristico.Un pezzo ricco di energia e di ritmo, forse il migliore dell’album. “WHEN LIGHTNING STRIKES” attacca veloce e dura con un 4/4 tirato, poi il ritornello corale ammorbidisce l’atmosfera. Al centro rallenta, ma è solo un attimo. Un po’ Manowar, un po’ Judas Priest, è brano fortemente epico. “WINTER SOLDIERS” inizia con fanfare e squilli di tromba militari, poi entra un giro scontato di tastiere, però il brano poi non è banale e riacquista personalità. Una doppia cassa dinamizza un tempo non velocissimo, ma la ricchezza è soprattutto nella linea vocale, piuttosto ricercata e infarcita di sovrapposizioni. Brano epico di classico Heavy Metal che si rifà sia alla N.W.O.B.H.M. che al metal epico tedesco di Hammerfall e Gamma Ray. Al centro un divertente ponte di tastiere dall’atteggiamento similpopolarefolkloristico. Questa canzone chiude una tripletta di composizioni che risultano insieme le migliori. “WE RIDE” appare inizialmente ariosa e rarefatta per l’intro pomposo di tastiere. Poi subentra una ritmica stile cavalcata. La bellezza e la potenza di questa song sta tutta nell’interpretazione canora, molto intensa e virile, esaltando la verve epica della band. Pur apparendo strutturalmente meno originale di quelle sopracitate, c’è parecchio feeling emotivo nella realizzazione.  “NEW FRONTIER” termina l’album con uno scatenamento al fulmicotone. Ritmo forsennato per una voce orecchiabile, quasi scanzonata. E’ l’attacco della sonora battaglia finale.  Gli italiani Drakkar ci sanno fare. Del resto questo tipo di metal, epico e corale, è da sempre nelle corde dei metallari italiani. In alcuni momenti vi sono cadute di tono ma l’album è di livello. Non c’è un solo tipo di ispirazione lasciando intravedere quali altre direzioni la band possa intraprendere in futuro. Naturalmente c’è molto del passato e la personalità non è sempre forte, svolazzando anche troppo spudoratamente su passaggi derivativi; ad ogni modo il più è qualitativo permettendo al disco di non appiattirsi qualitativamente. Si tratta insomma di un disco che si fa notare non rimanendo intrappolato nella mischia.  Sky Robertace Latini
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“LAND OF THE  CRIMSON DAWN”    Freedomcall  -   2012

Stavolta i nostri tedeschi hanno deciso di divertirsi senza affliggersi con ricercati input artistici. Bando all’intellettualità del metallaro impegnato, questo album vuole solo giocare. Stupisce la sfacciataggine in tal senso e proprio ciò appare come provocazione.  “ROCKSTARS” è l’inno orecchiabile e fluido di un power metal che colpisce subito. Molto Manowareggiante, epico e corale, strutturato in due ritmi, uno meno veloce della strofa ed uno più tirato per il ritornello. Al centro un ponte arioso e poi teatrale prima di riprendere la velocità finale. Niente di nuovo ma song ben costruita ed energica.  “CRIMSON DAWN” vive di un riff stile cavalcata e di una chitarra a sostegno di un coro che duetta con la voce solista nello stile dei Manowar del periodo di seconda maniera (quello semplificato strutturalmente). Il pezzo non è monolitico, anzi possiede sfumature sonore date da continui inserimenti chitarristici e doppie voci di accompagnamento. La linea vocale è ricca di passaggi. La struttura è ricca anche perché al centro si trova un lungo momento tematico diverso dove il pianoforte e la voce soft che calmano il brano apportando pathos al momento giusto. Poi un bell’assolo.  “BACK INTO THE LAND OF LIGHT” con le sue tastiere iniziali fa un po’ il verso alle tastiere della famosa “The Final Countdown” degli Europe. In realtà si capisce subito che si tratta di altro. La canzone ci porta verso ambientazioni leggere pur dinamiche. Voce molto limpida e orecchiabile senza mai divenire banale.  “SUN IN THE DARK” prende il via con un riff cupo e poi va verso lidi Glam Hair Metal rimanendo però ad un buon livello compositivo. Anzi, vi troviamo la parte strumentale centrale di un certo tono. Direi un ottimo brano.  “ETERNITY” è un middle-time che cerca l’atmosfera di ampio respiro con un suadente e morbido ritornello.  “SPACE LEGEND” riparte in quarta senza uscire dalle righe più tradizionali. E’ un Power Metal di matrice Gamma Ray, semplicissimo e a presa rapida.  “POWER & GLORY” parte con suono di cornamusa, poi diventa una canzoncina da canticchiare in coro ondeggiando col capo come fanno i bambini, eppure tira e acchiappa, lasciandomi un allegro sorriso ebete. Strana presenza il brano “Hero on Video” che vuole essere del tutto easy listening, riuscendoci anche bene, data la capacità espressa da questi musicisti a interpretare l’AoR. Ci azzecca poco nel disco ma tant’è, la band sembra fregarsene di tutto e di tutti.  Rispetto al lavoro di due anni fa questo risulta più leggiadro perdendo mordente, e talvolta risulta troppo adolescenziale dando una impronta generale poco seriosa. Anche “The legend of the shadow-king”del 2010 si situava nella scia del cantabile e facilmente fruibile ma donava anche canzoni che volevano uscire dai normali clichè e poi i suoni erano almeno più pesanti. Qui rimane un accenno di quel tentativo compositivo senza osare però allo stesso modo. Comunque il risultato è apprezzabile e anche efficace. Per i più feroci metallers questo genere di metal farà venire voglia di sputare, ma io brindo alla spudorata incoscienza di questi infantili musicisti. Più divertenti degli ultimi Manowar…almeno questo. Che i bambini metallici vengano ai Freedomcall.   Sky Robertace Latini

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L’EPICITA’ METALLICA

Nel 1982 una band americana, i Manowar, rifacendosi a “Conan il Barbaro”, pubblicano lo storico “Battle Hymns”. Nasce ufficialmente l’Epic Metal. Già l’epicità nel rock si era presentato qua e là: l’esempio maggiore è quello degli anni ’70 con il cantante Ronnie James Dio e il chitarrista, ex Deep Purple, Ritchie Blackmore, che avevano con i Rainbow usato toni epici (vedi “Kill the King” e “Stargazer”), ma anche band come i Judas Priest avevano dato vedute epiche ad alcune loro composizioni. Con i Manowar nasce però un vero e proprio genere, sebbene più di atteggiamento che di struttura musicale. La musicalità, prettamente Heavy Metal, prende di questa tipologia la parte più evocativa e maestosa, senza però stravolgere il metal già esistente. Col tempo molti altri nomi entrano in questo specifico olimpo: Gamma Ray; Hammerfall, Virgin Steele e soprattutto Blind Guardian. Però poi il carattere epico evolve quasi naturalmente nel sinfonico, in quanto l’orchestrale non può che essere maestoso e lirico. Per cui sia i Rhapsody Of Fire che i Nightwish, e gli Epica (nome compreso) posseggono quasi sempre una espressione epica, ma in realtà essi sono molto di più e quindi si trasformano in altro dall’epico puramente Heavy Metal.  Le tematiche sono quelle classiche della battaglia e della forza. Prendono anche da cinematografia e letteratura la loro ispirazione mettendo in musica romanzi fantasy o misterici (“Il Signore degli anelli” è un libro ipersaccheggiato). In qualche modo sottolineano il carattere dell’eroe individuale, vedendo la propria musica come “vera” e “pura”, in cui il metallaro diventa il guerriero che non si vende a nessuna delle mode esistenti e perciò neanche alle mode interne al rock duro.  In realtà spesso questo comportamento sfocia nel kitch e nel ridicolo, sia per pantomime eccessivamente teatrali, sia per musicalità dai cori triti e ritriti, e ormai è difficile risultare davvero personali. Però nelle migliori espressioni, il metal epico dà grande prova di sé immettendo una energia molto coinvolgente e passionale.  L’Italia metallica dal canto suo ama molto utilizzare l’epicità (vedi “Domine” e “White Skull”), e i Drakkar quest’anno sono riusciti bene nell’intento, fornendo una prova epica con alcuni accenni di sinfonismo. Ma la Germania rimane uno dei luoghi più tradizionalmente importanti per l’epico, e i Freedom Call, usando la formula assolutamente abusata, seguono la linea già marcatamente tracciata dai Manowar. Mentre i Drakkar appaiono più seri, i F.Call si sono lasciati andare al puro scatenamento ludico, componendo in modo più semplice e lineare.  Personalmente il metal epico è quello che ho amato sempre in modo particolare, ma il troppo tono da canzoncina con il ritornello orecchiabile, in alcuni casi mi fa storcere la bocca. Eppure i primi Manowar ci avevano abituato a suoni epici molto poco commerciali e pieni di dissonanze e strane distorsioni; l’altro mito, quello dei tedeschi Blind Guardian, a complesse e virili linee melodico-strutturali piuttosto adulte. Ma certo, per ottenere tali risultati ci vuole il genio artistico….e non solo nel metal epico.  Sky Robertace Latini


“POSSESSION”       Christian Mistress       2012

Nonostante il nome del gruppo e il titolo dell’album, la musica espressa non è sulfurea e oscura; non è neanche chiara e leggiadra, però è puro caro vecchio Heavy Metal, quello più vicino possibile agli anni ’80, e ai primi del decennio. Si tratta di N.W.O.B.H.M., stampato sulla falsa riga dei Diamond Head sia per riff che per impostazione canora (strano che molti recensori non se ne siano accorti). La voce di Christine Davis in realtà spesso possiede anche toni alla Patti Smith (del resto è voce femminile) ma Harris è continuamente nelle sue corde. “PENTAGRAM AND CRUCIFIX” è un ibrido tra la caratteristica metal e la verve punkeggiante, con un riff che insegue la voce e la voce che a sua volta insegue il riff in un completezza circolare eclettica. Una dinamicità strutturale originale. Il cantato tende a usare parole dal suono mozzato e scattoso. La parte solistica della chitarra è invece strettamente di stampo Heavy metal, ben datato.
“CONVINCTION” ha un bel ritmo che, unito al tipo di riff, possiede coordinate che ricordano la band inglese dei Diamond Head. La voce ci prova soprattutto nel brevissimo ponte meno duro, per il resto sembra proprio Patti Smith.  “THE WAY BEYOND” inizia con chitarra acustica poi si infila in un riff oscuro che si riallaccia ai Black Sabbath di Ozzy, ma anche agli Angel Witch. Invece c’è una velocizzazione che fa presenti anche qui i Diamond Head, soprattutto attraverso la voce, molto più che nel pezzo precedente.  “POSSESSION” vive di un senso doom, in verità alleggerito da una voce meno dark. Parzialmente New Wave anni ottanta, la vocalità presenta una modalità poco metal ma efficace e personale. Qui i Diamond Head smettono di farsi presenti.  “BLACK TO GOLD” si scatena e ritorna l’ombra dei Diamond. Bel pezzo tirato e lineare che scorre , con un assolo in crescendo, intrigante e avvincente, gestito in due momenti diversi. Forse il brano più bello dell’album.  Tra i brani minori vale la pena di citare “All Abandon” perché è il più sfacciatamente Diamond Head (scusate se ho ripetuto questo nome mille volte). Esso dopo la prima parte acustico/darkeggiante è quasi una citazione. Riff; assolo; voce…..fortemente derivativo, soprattutto il riff pare essere una “argirata” (come dico io) di “Helpless”.   Batteria scarna ma che è piacevole da sentire nella sua semplicità. Non sembra un lavoro digitalizzato; eppure nel suo suonare sporco e poco raffinato c’è tutta una magia accattivante e avviluppante. Non si trova la levigatezza spesso presente anche nelle distorsioni più violente delle produzioni contemporanee. Christine a volte sembra proprio fare apposta per avere il timbro e la tecnica espressiva di Sean Harris dei D.Head., eppure, a parte alcune lievi cadute, il disco è affascinante e bello. Il fatto che la sua ispirazione sia evidente non diminuisce il valore delle canzoni che non sono mere copie di quelle dei Diamond pur ricalcandone molte volte lo stile. Certo non piacerà a molti, ma la non commercialità di questa opera, ne fa un autentico inno alla “musica vera”. Una band U.S.A dalla grande (e abile) connotazione inglese.  Sky Robertace Latini

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METALLO della TRADIZIONE ANNI ‘80

In questa epoca dove internet permette l’espansione culturale in ogni direzione, il passato ed il presente si mischiano spesso senza mantenere connotazioni storiche chiare. In musica l’esempio è lampante….i fruitori mischiano nelle loro raccolte brani vecchi e nuovi, che, ascoltati per la prima volta sembrano tutti attuali.  Nella produzione le band, neo loro brani appena composti, si ispirano spesso al passato anche antico di decenni e lo fanno con le tecniche odierne, apparendo assolutamente del momento. Sappiamo che le sonorità moderne sono quelle più vicine a quel rock americano orecchiabile mischiato a riff pesanti, e nel metal va tanto di moda il growl sulfureo (adesso progressivamente ridimensionato), eppure continuano a nascere gruppi nuovi che suonano Power Metal e Speed Metal del ventennio ‘80/’90, e l’Hard Rock psichedelico o Sabbathiano anni ’70 viene suonato chiamandolo Stoner. In realtà viene suonato di tutto. Ogni cosa rock che è nata dagli anni sessanta in poi è super riciclata e riassorbita costantemente.  La domanda è: anche se nulla può più essere davvero inventato, c’è qualcosa di personale che si pone sopra la media? La risposta è affermativa, ogni anno qualche disco aggiunge un qualcosa di prezioso all’enorme puzzle del panorama discografico, e ciò avviene in ogni tipologia di rock. Quando la critica vuol significare “assenza di personalità” usa il termine “derivativo”. In realtà nessuno riesce a comporre pulitamente senza mescolare qualcosa che originalmente non era di quello specifico stile, però la caratteristica preponderante fa capire le principali ispirazioni.  Una volta si capiva chi era americano e chi europeo, ormai la cosa è superata. Da ogni parte del mondo può venire un suono considerato americano o inglese. Un vulcano in eruzione è sempre la Scandinavia, ma gli Stati Uniti continuano a presentare sorprese e lo fanno, a volte con classe dotta all’europea (chissà perché i cittadini americani vengono sempre considerati poco acculturati e superficiali dal punto di vista artistico).  E’ il caso, stavolta,  di due gruppi i cui lavori sono usciti da poco: i SAVAGE MESSIAH e i CHRISTIAN MISTRESS. I primi fanno Thrash e i secondi si ispirano alla NewWaveOfBritishHeavyMetal.  Ciò che li accomuna è curiosamente la scelta del moniker ispirato a terminologia religiosa cristiana; ma poi anche un suono che fa riferimento agli anni ’80, pur all’interno di scelte completamente differenti dal punto di vista dello stile.  La tradizione anni ‘80 non vede nascere un solo tipo di metal, ce ne sono vari: N.W.O.B.H.M.; Glam-street-Hair metal; Power Metal; Thrash Metal; Dark-Black Metal; Progressive metal. Possiamo dire che tutto ciò che è nato degli anni ’90 in poi è considerato il suono attuale, poi vi sono gli anni ‘60/’70 e quelli ’80. Tre grossi tronconi che in realtà non sono  omogenei. Tra i tre comunque gli anni ’80 sono il troncone che fa da spartiacque e chiunque produce musica presenta una qualche ricaduta della tipologia di quel periodo.  I SAVAGE MESSIAH si scatenano col thrash che nacque proprio negli Stati Uniti degli anni ‘80, ma lo mescolano col Power e lo Speed europeo, andando a ripulirsi e a utilizzando un suono meno violento. Nel Power, per quanto veloce, i ritornelli sono solitamente melodici, e i S.Messiah hanno ritornelli melodici; e lo Speed è duro ma non quanto il Thrash.  Caso molto particolare invece i CHRISTIAN MISTRESS che hanno negli inglesi Diamond Head il loro stampo sonoro. Questi D.Head, esponenti della N.W.O.B.H.M., hanno paradossalmente ispirato i Thrasher Metallica, ma non sono Thrash. La loro sonorità limpida e la voce dal timbro accorato e piangente ne fanno una band singolare, simile a nessun’altra, che non ha avuto emuli, ma dalle grandi doti, seppur commercialmente sottovalutate. Ebbene, i C.Mistress sembrano voler essere loro gli emuli….ma in realtà non ci riescono perché riescono invece a non esserne appunto “derivativi” (il termine sopracitato), sia perché vi infilano altre sonorità (rock/punk/new wave fine anni ’70 inizio anni ’80) sia perché la verve è più scura e dark. E forse anche perché la voce è femminile.  La tecnica che si utilizza, spesso crea anche la datazione. I Savage messiah sono raffinati e levigati, in una produzione tecnologicamente qualitativa. I Christian Mistress invece sembrano non in digitale ma in analogico, con una resa sporca che appare quella dei mezzi dei tempi andati. La registrazione ha prediletto la qualità artistica rispetto alla qualità tecnica. E’ stata fatta una scelta verso l’effetto vintage a discapito della pulizia dei suoni. Due dischi completamente differenti, eppure entrambi di fattura eighties. Ciò non li relega in ambiti di emarginazione, si esprimono invece nell’attualità più concreta, del tutto in linea con la variegata produzione contemporanea del metal e del rock in generale.  Sky Robertace Latini

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“PLAGUE OF CONSCIENCE”     Savage Messiah

La band può essere inclusa nella corrente thrash metal, ma lo è in modo ammorbidito e mai eccessivamente tagliente che dà al tutto una caratteristica di raffinatezza ben distribuita in tutto il lavoro. L’album inizia in modo piuttosto classico con due composizioni ben realizzate ma non fuori dai soliti canoni Heavy Metal, poi arriva il meglio del lotto, e il livello sale.  “CARNIVAL OF SOULS” inizia acustica ma non è una canzone calma, anzi presto parte il riff scuro e un ritmo sostenuto. E’ tipicamente thrash fino al ritornello, il quale è breve ma più melodico rispetto al thrash tipico. Poi c’è una parte di atmosfera più progressive dove si inserisce l’assolo di chitarra fluido che oscilla fra la melodia e la sferzata sibilante. Un brano non immediato ma intelligente.  “IN THOUGHT ALONE” sembra voler essere leggera con la sua linea melodica piuttosto orecchiabile di Heavy. In realtà è una track dal forte carattere senza essere veloce attraverso un ritmo middle-time. Riff corposo e scuro, in contrapposizione alla voce; bell’assolo di chitarra e raffinatezza globale.  “ALL SEEING I” fa tornare il thrash di matrice corrosiva con voce leggermente roca. Un brano bello e vivido, limpidamente trascinante. Non perde mai il mordente nei suoi cambi di ritmo passando liquidamente dai riff alla parte cantata in modo elegante.  “BEYOND THE SHADOW OF THE DOUBT” contiene un pezzetto al limite del plagio. Si tratta della prima parte cantata che si rifà a “Green Manalishi” suonata anche dai Judas Priest. Quando succedono cose del genere la composizione le annovero tra quelle minori dell’album; in questo caso invece non lo posso fare perché il resto della song è assolutamente personale e bella. Qui ci allontaniamo dal Thrash per un Heavy Metal più classico dal ritmo medio.  “ARCHITECTS OF FEAR” è il pezzo più fresco dell’album. Bel riff dinamico e ritmica scorrevole nonostante i suoi cambi tra un passaggio e l’altro; andamento vario che dona sensazioni molteplici tra morbidezza e durezza. Si percepisce una atmosfera ariosa nel ritornello. Orecchiabile ma anche energico. “SHADOWBOUND” presenta uno speed-thrash che lascia traspirare anche del Power metal. Assoli veloci e ispirati, rasoiate efficaci.  In realtà spesso il disco esce dal genere Thrash in rivoli di sinuoso metal, il cui spirito passa dal Progressive, al Power , allo Speed in un amalgama perfetto.    Sky Robertace Latini

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(Michael Ende)

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