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In questi anni abbiamo corso così velocemente che dobbiamo ora fermarci perché la nostra anima possa raggiungerci. (Michael Ende) ---- A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro. Sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi. (Carl Gustav Jung)

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO:QUANDO LA BANDA PASSAVA...
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195. RECENSIONI 2012 - BAND ALBUMS di Sky Robertace Latini


“DEATHAMMER”    Asphyx (from Olanda)  -  2012

Non credo che basti essere duri e puri per sfornare grandi dischi. Questo degli Asphyx è un lavoro dignitoso, ma non certo da osannare come ho visto fare da certi recensori. Buoni spunti creativi, ma il tutto si perde in un amalgama troppo compatto.  “INTO THE TIMEWASTE” ti assalta con velocità e impatto immediato. Ritmo serrato con nero groove bello rovente. Poi il basso distorto annuncia il rallentamento in un middle-time dove chitarra ritmica e batteria sostengono la struttura. “DEATHHAMMER” è la naturale prosecuzione del brano precedente, se possibile la ferocia è aumentata. Feeling disperato e annichilente. “REIGN OF THE BRUTE” è uno dei pezzi più semplici del disco, ma di immediata assimilazione, durissimo e quasi punk-metalcore. Chitarra rotolante incandescente.  “THE FLOOD” parte con un middle-time ma non per questo è meno brutale. I cambi di ritmo rendono la canzone dinamica. Leggermente motorheadiana. “WE DOOM YOU TO DEATH” è forse il miglior momento dell’album. La coincidenza vuole che sia il meno veloce e quello più legato al doom dei Black Sabbath. Pesante, ruvido, molto dark, riff avvolgenti, e anche quando il ritmo aumenta non perde la collosa vischiosità che lo rende ipnotico e affascinante.  Per questo nono album (dal ’91) suono pastoso, sul punto di fusione, e una voce cavernosa. L’atmosfera globale è anche intrigante ma non è sufficiente l’ottima tecnica a regalare gli emozionanti passaggi che ci vorrebbero. Un DeathMetal con alcune grasse zampate ma senza grandi song, nella scia di quello più classico del genere. Qualche inserto Doom o Black per scurire il tutto, ma sennò lineare. 


“PLUNGING INTO DARKNESS”   Fueled By Fire  (dagli Stati Uniti)  -  2012 

Classico, classicissimo Thrash Metal senza fronzolo alcuno. A volte più Exciter, a volte più Metallica, e magari anche Anthrax del primo album, in poche parole tutto contenuto nella tipologia anni ’80, quella più violenta di quel periodo. Solo due lavori in sei anni circa, ma questo vale per due.  “THE ARRIVAL” è un dinamico strumentale, basato sulla chitarra solista, sul tipo di “Dialectic chaos” brano dei Megadeth del 2009, che lì nell’album “Endgame”, come qui in questo, apre l’album.  “RISING FROM BENEATH” è veloce, fresco, divertente. Ritmo sostenuto e assolo che più speed non si può.  “WITHIN THE ABYSS” usa i riff tanto cari ai Metallica dei primi tempi. Cori e urletti efficacissimi. “PLUNGING INTO DARKNESS” è la title-track, e se il compito della title-track è quello di rappresentare bene un disco, questa fa proprio il suo dovere. Velocità, tempi meno veloci, urla poderose e urletti più schizzati, assolo lacerante e riffing a tavoletta. Tutto messo nella stessa furibonda distruzione. “EYE OF THE DEMON” pareva voler essere meno veloce, invece poi si attizza subito e via, giù a perdicollo. Uno dei migliori assoli di chitarra, fluido e caldo.   EVOKE THE CURSE” appare come il pezzo più duro e violento, con un pizzico di cattiveria in aggiunta.  Le urla sono bellissime, come quelle di una volta,  quel tipo che appare poco tecnico ma che bisogna “saperci fare”. Le composizioni non utilizzano il groove che piace tanto oggigiorno, ma lo sferragliamento chitarristico che serve per compattare tutto in modo iperveloce. Non c’è il blasting furioso che  caratterizza tanti gruppi attuali, ma in modo freddo e anche più leggero, invece qui la batteria è pesante e incisiva.  Cosa c’è di originale? Nulla, ma l’ascolto scorre via con euforica adrenalina. Nessuna pesantezza ma mazzate su mazzate, senza soluzione di continuità, nella più classica delle scorribande metal. A volte serve lasciarsi andare, che anche la semplicità è arte.   Si tratta nell’insieme di qualcosa che possiede poche varianti sia dal punto di vista strutturale che di linea vocale. Ma afferra l’ascoltatore senza stancarlo (sempre che piaccia il genere).


    “KOLOSS”    Meshuggah (from Svezia)- 2012

Solo il settimo album dopo 25 anni. Il titolo non si riferisce a qualche significato dei testi ma al suono pesante delle composizioni. La precisione chirurgica del groove di questo disco diventa visionarietà fredda e angosciante, e la brutalità ancor più agghiacciante perché appare senz’anima, volutamente asettica. Il grande lavoro strutturale contiene originalità e tecnicismo, ma continuo a pensare che spesso il cantato growl tende ad appiattire piuttosto che il contrario. La grande raffinatezza della capacità strumentale non trova il corrispettivo nell’ inventiva della linea vocale, sebbene dal punto di vista del suono sia un growl migliore di altri.  ”THE DEMON’S NAME IS SURVEILLANCE” è un pezzo arrogante e feroce. Il ritmo medio non ne attutisce la carica di crudele violenza.“DO NOT LOOK DOWN”  è forse il brano più vicino al metal tradizionale, con giri di chitarra tranquilli e chitarra solista lineare. Un che di progressive metal. Se la voce fosse stata meno presente sarebbe risultato più godibile. “THE HURT THAT FINDS YOU FIRST” è un death metal dinamico con singulti flessuosi e morbidi nel finale.  “MARROW” va giù con ritmica ossessione, in una meccanica propulsione in cui si sentono duri ingranaggi che evocano dolore. La chitarra solista liquidamente olia gli accordi dove invece la voce grumosa tende a incrostarli. Un pezzo quasi jazz nel suo iter concettuale.  Il basso s’insinua sempre invadente con notevole efficacia, scurendo il quadro e ponendosi al posto dei riff chitarristici; la chitarra tende più a fare tappeti o singoli giochini interessanti. Troviamo una mescolanza di stili metal estremi che si amalgamano bene, tra Death; Black e Industrial. Talvolta sembra di trovare qualche incursione jazz, ma i musicisti riferiscono di non sentirsi affatto vicini a tale musica in quanto non lasciano nulla all’improvvisazione, forse il voler assumere connotati di astrazione è l’unica cosa che si possa definire jazz.  Purtroppo la discrepanza tra creatività ed espressività vocale è così alta che davvero è un peccato. Cattiveria e terrore non bastano a fare della vocalizzazione un elemento artistico sufficientemente significativo; qui l’uso della voce appare scontato. E siccome nella musica dei Meshuggah essa vuole essere portante, l’effetto finale è fortemente penalizzato.  I testi, che questa band definisce astratti, hanno come tema il dogma, pericoloso perché sentirsi nella verità assoluta farebbe perdere la capacità di valutare le sfumature. Nella scrittura essi dicono di prediligere il lato psicologico delle cose.


“RELAPSE”   Ministry  (dagli U.S.A.)-  2012

I Ministry sono una One Man Band statunitense, Al Jourgensen è l’unica mente. Un tipo particolarmente “fuori” (sono tre volte che sta per morire: per overdose; per emorragia e per chissà cos’altro. Comunque sono dieci anni che ha smesso di fumare)
che lavora da trent’anni nel music business (non con la stessa band) e che riferisce di vivere al massimo e di suonare al massimo (39 pubblicazioni e quindici tour mondiali). Infine consiglia tutti di trovare un vero lavoro e di lasciar perdere la musica. La band è considerata la capostipite e fondatrice dell’Industrial Metal, anche questo lavoro proporrebbe Industrial, ma nonostante un po’ di caratteristiche computerizzate, quello che se ne evince è soprattutto un eclettico Thrash. “GHOULDIGGERS” nomina cinque morti della musica: JimMorrison/JimyHendrix/JanisJoplin/Kurt Cobain/AmyWinehouse in un intro chicchierante, ma non ho approfondito perché. So solo che il chitarrismo di fondo alla AC/DC rende la cosa intrigante. Poi parte il pezzo con una ritmica indiavolata che colpisce nel segno. Linea vocale e struttura originale, piena di energia. C’è anche un assolo e ciò mi ha reso felice durante l’ascolto. “DOUBLE TAP” è un thrash con all’interno alcuni suoni pseudo-etnici che lo rendono orientaleggiante. Un brano incisivo e ossessivo che non dà tregua. Vive di una certa algida atmosfera per la pulizia sonora che emana, nonostante la violenza. “FREEFALL” è una composizione velocissima e infuocata.  Lineare, senza variazioni caratteriali o strutturali. Non ci sono velleità di raffinatezza ma solo di pura feroce carica adrenalitica. “WEEKEND WARRIOR” si snoda attraverso un riff classico e un 4/4 ben cadenzato ma non veloce. Non sceglie l’impatto immediato ma un procedere leggermente articolato. Qui siamo più vicini al Thrash Metal, assolo compreso, del periodo primi anni ’80, quello quasi non thrash (nel senso di essere nel solco del passaggio fra Thrash e semplice Heavy Metal). Al centro una breve linea vocale che muta verso lidi punkeggianti. “GIT UP GET OUT  ‘N VOTE” è un brano semplice;  ma grazie al ritornello da cantare in coro ai concerti, è anche divertente. La chitarra che si insinua con lunghe note aumenta l’intensità della canzone. Il testo esorta la gente ad andare a votare, egli crede ancora nell’unione che fa la forza e vuole spingere a combattere l’apatia. I testi protestano, i presidenti americani sono sempre un suo pallino. In questo disco (il  quindicesimo della sua discografia dagli anni ‘80) c’è anche un brano, “99percenters”, in cui Al parla del movimento di protesta che occupò Wall Street; cosa che gli ricorda quando lui andava ai sit-in dal 1968 in poi, sin da piccolo coi suoi genitori. Un disco piuttosto interessante che riesce a offrire quella originalità che non tutti possiedono, uscendo fuori dai clichè. Leggendo alcune recensioni viene fuori che l’inventiva è poca, a me non pare. In ogni caso ho l’impressione che molti giornalisti invochino spesso nel una periodo statico, quando  a me pare molto dinamico, come questo album sta a dimostrare. Bè, i Ministry, anzi, Al, sa darci dentro nel modo giusto.


“HELL TO THE HOLY”     Mpire Of Evil  (from England)-  2012

I Venom (1981) nacquero dopo i Motorhead (1977).   Vista da questo punto di vista, possiamo dire che Mantas Dunn, chitarrista fondatore dei Venom, con la sua nuova band fa un passo indietro stilisticamente. Ma in realtà la scelta è azzeccata, perché questo album possiede il piglio giusto e l’ispirazione adeguata. La sonorità è a metà strada tra i due gruppi, ma forse con la predilezione per la sonorità dei Motorhead (“Snake Pit”; “All hail”) piuttosto che per quella della propria band madre; e questo nonostante vi siano dentro altri due componenti dei Venom.  La truce e blasfema efferatezza sonora dei Black-metaller Venom lascia spesso il posto alla rock’n’rolleggiante rozzezza dei Motorhead di Lemmy, in cui anche la voce roca pare fargli il verso.  E il risultato è divertente, efficacemente riuscito. Un disco senza sovrastrutture, quanto piuttosto lineare e per questo efficace, che colpisce in modo diretto. Del resto io ho sempre preferito i Motorhead ai Venom.   “HELLSPAWN” fa iniziare l’album con un bel martellamento veloce. Riff oscuro, voce cattiva. Qui si è ad una sfuriata ThrashBlackMetal che non lascia scampo e che scorre in un impetuoso ed impietoso fiume nero come la pece. Assolo al fulmicotone di vecchio stampo. Nonostante sia il pezzo migliore dell’album, ci sono altri piaceri che attendono di essere gustati.  “WAKING UP DEATH” rimane ancora parzialmente nel solco Black. In realtà ha molto della N.W.O.B.H.M. meno rassicurante. Un bel giro fluido di chitarra accompagna la struttura cadenzata della canzone, i suoni sono frammenti più interessanti della linea vocale. La parte più lenta contiene l’assolo chitarristico.  “HELL TO THE HOLY” inizia con suoni da ambientazione funerea con campana a morto, pioggia e pianto di donna. Si tratta di una song densa e dal middle-time vischioso. Si continua a stare nel Black Metal. Dopo “Ellspawn” è la composizione più interesante, anche per la gustosa interpretazione vocale di “Demolition man” Dolan. Assolo chitarristico semi-psichedelico che ricorda molto i Motorhead.  Ed ecco “SNAKE PIT”, pezzo al 100% Motorhead, solo che non lo ha composto Lemmy. Sembra proprio di sentire Kilmister per tonalità ma anche per interpretazione, persino nel fiato a fine parola. 4/4 tirato e ritmo rock’n’roll. Da scatenamento.  “DEVIL” è un brano non perfettamente inserito nel contesto del lavoro. Grilli e ululati, accompagnati da una chitarra americaneggiante stile sleaze-country-blues, fanno partire una song che con il Black metal non ha proprio niente a che fare. Ritmo ballabile  per una canzone che pare più StreetMetal alla D.A.D. oppure nelle corde di un gruppo come i BlackLabelSociety (oppure ancora i Motorhead). Alla fine gran bella.  “SHOCKWAVE” è velocità e motorhediano feeling. Basso e chitarre ribassate come al solito, cascate di riff e voce nerastra, ma siamo proprio nei primi anni ’80 per idee e per attitudine (anche stile Tank ?).   “Metal Messiah” lo considero minore perchè troppo vicino al cantato di un brano dei Judas Priest.Certo i Venom hanno inventato un genere: il Black Metal. Ma qui di Black non c’è né molto, se non di struscio, troviamo invece un rock duro vicino alla NewWaveOfBritishHeavyMetal, che viene reso in maniera personale e sufficientemente energico pur potendovi trovare molti elementi altrui.  Ho voglia di risentirlo.


“UTILITARIAN”    Napalm Death (from England)– 2012

Questi inglesi sono i fondatori del Grind-core, e sanno ancora come si fa un disco, del resto siamo al quindicesimo in venticinque anni (in realtà hanno prodotto demo dall’82, per cui compongono e pubblicano musica da trenta). Macinano riff e schiacciano l’ascoltatore con i loro cingoli in distorsione. Chi si aspetta il metal classico, in cui in qualche modo si percepisca un minimo di quel bluesato che ne è un ingrediente, non deve ascoltare questo gruppo, che è uno dei più estremi esistenti. Sono estremi ma vi si riconosce il punk, perciò mi piacciono; in effetti il loro è un death metal, che però, cantato alla punk costringe l’arrangiamento a strutturarsi diversamente (diventando appunto grind-core). E poi sono raffinati in quelle tracce costruite in maniera più complessa. “ERRORS IN THE SIGNALS” subito si scatena in vomiti e scartavetrate veloci. Ma stacchi e cambi di ritmo arricchiscono la composizione di riff interessanti. Il cantato non è fine a se stesso ma bene messo al servizio della struttura compositiva, urla comprese. “THE WOLF I FEED” è il pezzo più complesso, lo screaming poco usato nell’album, qui prende possesso in pieno del brano ma c’è anche un oscuro cantato a voce limpida che rende liquida l’atmosfera. Un episodio musicale piuttosto creativo dove si trovano assemblati momenti diversi fra loro.  “QUARANTINE” è un iperveloce metalcore che però non preme sempre sullo stesso tipo di accelerazione. Al centro crea riff meno scuri ma comunque ossessivi. Bella mazzata ferrata. “FALL ON THEIR SWORD” è un altro feroce assalto, ma la velocità non è forsennata. Al centro un coro darkeggiante che crea un ambiente sacrale e di potente magia, prima di scatenarsi in un furioso blasting senza speranza. “COLLISION COURSE” è più classicamente Heavy Metal, un po’ Death, un po’ Black. Una cavalcata adrenalitica che affonda in un vortice di energia pura.  “LEPER COLONY” è violentissimo e anche gelido. Un grindcore soffocante ma ipnotico. Pura distruzione, puro sgretolamento.  I brani che ho considerato migliori sono quelli più variegati, in essi si trova lo spunto personale, mentre gli altri sono troppo monocordi e anonimi. Colpa spesso di riff scontati e semplici e di un cantato piatto, semplicemente urlato. Modalità compositive che andavano bene anni fa ma che ora hanno detto già tutto.


“THE ELECTRIC AGE”    Overkill (from USA)-2012

La patria del Thrash è l’America. Da New York gli Overkill continuano ad impazzare bellamente fregandosene dei trend. Rimanendo nella loro specifica tradizione anni ’80, sono riusciti comunque e esprimere bellissime composizioni. Durezza tagliente e tecnica incisiva per una ispirazione e passione inalterata. “COME AND GET IT” parte con un intro epico ma quando si apre il rubinetto precipita giù acqua bollente. Via a tutta velocità e il 4/4 non aspetta ritardatari. Il ritmo rallenta e i cambi di ritmo si sprecano dando spazio anche ad un carinissimo seppur breve assolo. “ELECTRIC RATTLESNAKE” sembra presentarsi con un riff già sentito (forse i Metallica?), poi me ne scordo e godo del percorso sonoro che mi scuote e mi elettrizza con la sua parte veloce, quella middle-time e quella con assolo chitarristico ficcante. “WISH YOU WERE DEAD” è una saetta che non concede molto alla varietà, si tratta di un compatto pezzo durissimo scatenato. “BLACK DAZE” poteva essere suonato anche da gruppi non thrash. Ottimo pezzo cadenzato che serve ai fan per muoversi a tempo con i musicisti. “SAVE YOURSELF” è una lineare quanto scatenata track dall’attimo sfuggente. Pogare è d’obbligo, non facciamoci fuggire quel cavolo di attimo. “ALL OVER BUT THE SHOUTING” scivola via serrata e senza cedere mai, con un ritornello divertente.  Vogliamo dirla tutta? L’ottima voce acuta di Bobby “Blitz” Ellsworth sembra quella di Udo e anche i cori, quando ci sono, fanno venire in mente i tedeschi Accept. Ma qui non cerchiamo novità visto che troviamo comunque freschezza ed energia ed una vena ironica. Troviamo testi leggeri (prendersi ciò che si desidera) ma anche seri. (minori contatti fisici per via della comunicazione tramite computer o la crisi economica che porta via il lavoro alla gente).  Che bello l’Heavy Metal, il disco è proprio elettrico come dice il titolo.

Sky Robertace Latini

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