scorr

In questi anni abbiamo corso così velocemente che dobbiamo ora fermarci perché la nostra anima possa raggiungerci. (Michael Ende) ---- A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro. Sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi. (Carl Gustav Jung)

...in altre lingue...

...in inglese....

...in altre lingue...

LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO

LA FOTO DELLA SETTIMANA  a cura di NICOLA D'ALESSIO
LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO:QUANDO LA BANDA PASSAVA...
Questo blog non ha finalità commerciali. I video, le immagini e i contenuti sono in alcuni casi tratti dalla Rete e pertanto sono presuntivamente ritenuti pubblici, pur restando di proprietà del rispettivo autore. In ogni caso, se qualcuno ritenesse violato un proprio diritto, è pregato di segnalarlo a questo indirizzo : rapacro@virgilio.it Si provvederà all’immediata rimozione del contenuto in questione. RR
BENVENUTO! - Il Blog si occupa di Arte, Spiritualità, Creatività e Religione

219. GIOBBE di Roberto Rapaccini


Giobbe - Marc Chagal

“C'era nella terra di Uz un uomo chiamato Giobbe: uomo integro e retto, temeva Dio ed era alieno dal male.  Gli erano nati sette figli e tre figlie; possedeva settemila pecore e tremila cammelli, cinquecento paia di buoi e cinquecento asine, e molto numerosa era la sua servitù. Quest'uomo era il più grande fra tutti i figli d'Oriente…”. Così, con un tono quasi fiabesco e sognante, inizia uno dei libri più complessi e paradossali della Bibbia, il libro di Giobbe, personaggio particolarmente enigmatico nell’intera tradizione religiosa e forse anche letteraria. Giobbe è l’uomo giusto, tormentato da una serie di sventure. Riecheggia nella sua sorte l’invidia degli dei per gli umani temuta dai Greci. A nome di tutte le vittime della sofferenza impreca contro Dio per un dolore che gli appare ingiusto ed incomprensibile; prostrato dal male, mortificato da tutto e da tutti, non perde mai la sua dignità, ma cerca una giustificazione alla sua sofferenza in grado di restituirgli la libertà violata. Giobbe non appartiene al popolo di Dio, è un uomo qualunque; così  maggiormente è simbolo di tutta l’umanità, è un’icona in cui ogni uomo ed ogni donna possono riconoscersi nei passaggi più difficili della propria esistenza. Giobbe, baciato dalla grazia o, con termine laico, dalla buona sorte, è oggetto di una scommessa fra Dio e Satana. È consapevole di una malcelata predilezione di Dio per lui, cui fa riscontro la sua assoluta fedeltà. Satana con sinistra invidia insinua nei pensieri di Dio il sospetto che la devozione di Giobbe sia un corollario della sua buona sorte. Lasciandosi tentare, Dio dà il permesso a Satana di rovinare la vita di Giobbe, attaccandolo prima nei suoi averi, poi nei suoi affetti più cari, ed infine nella sua salute. Una progressione di disgrazie senza fine, nel corso delle quali tuttavia Giobbe all’inizio sopporta in silenzio. Questo destino è una conseguenza della sua capacità di sostenere la malasorte o è un prodotto del puro caso? “Io non terrò chiusa la mia bocca” dice Giobbe e, di fronte alla sventura, arriva a maledire il giorno in cui è nato. Tre amici,appresa la sua sorte, lo vanno a trovare; sospettano che egli stia male come esito di qualche colpa commessa. Lo consolano, ma in realtà consolano loro stessi. Se loro stanno bene significa che non hanno colpe o hanno colpe minori. Pensano: “Dio è giusto e se Giobbe sta male deve essersi macchiato di qualcosa di grave”. A causa di questo atteggiamento, ‘troppo umano’ come direbbe Nietsche, non è raro che alla disgrazia si accompagnino la vergogna e un senso di colpa per quanto accaduto. Il ragionamento degli amici di Giobbe è solo frutto della presunzione dell’uomo mediocre di fronte al mistero delle vicende umane, il tentativo di menti modeste di giustificare ogni cosa ignorando i confini del conoscibile. Una simile congettura peraltro non trova riscontro nella realtà: quanti giusti soffrono e quanti corrotti sono felici. Non è tuttavia nemmeno una prova della casualità delle contingenze umane: è semplicemente  un segno della nostra indigenza cognitiva. La sorte precipita l’anima di Giobbe in un deserto, nel quale la fede provata dagli eventi gli farà dire che Dio ha ragione, ma lui non ha torto. Sente che la sofferenza non è un fine, ma parte di una progressione dell’esistenza, che  può renderci migliori o peggiori, ma non ci lascia mai uguali a prima.  Il dolore è parte dell’economia della vita, che ha bisogno perfino della morte per perpetuarsi. Tutto è un mistero profondo, nel quale l’essere si perde in un flusso più grande, dove ogni vuoto è fatto per contenere un bene maggiore. “Io grido a Te, ma Tu non mi rispondi, insisto, ma Tu non mi dai retta. Tu sei un duro avversario verso di me e con la forza delle Tue mani mi perseguiti; mi sollevi e mi poni a cavallo del vento e mi fai sballottare dalla bufera….” È un grido che non trova risposta. La moglie, correlato fisico di un parte della sua anima, lo spingerebbe a maledire Dio, ma Giobbe si trattiene, perché questa reazione lo separerebbe dalla fonte della vita, lo condannerebbe ad una solitudine che è l’obiettivo che Satana ha covato già da quando ha provocato la cacciata dell’uomo dai giardini dell’Eden. Isolarsi da Dio equivale ad allontanarsi da sé e dagli altri. Sarebbe la fine di ogni speranza. E Giobbe, anche se collocando quel rapporto nell’ambito della logica umana si senta tradito, dice:  “…Per la vita di Dio, che mi ha privato del mio diritto, per l'Onnipotente che mi ha amareggiato l'animo, finché ci sarà in me un soffio di vita, e l'alito di Dio nelle mie narici, mai le mie labbra diranno falsità e la mia lingua mai pronunzierà menzogna! Lungi da me che io mai vi dia ragione; fino alla morte non rinunzierò alla mia integrità. Mi terrò saldo nella mia giustizia senza cedere, la mia coscienza non mi rimprovera nessuno dei miei giorni.” Così quello che accade diviene l’occasione per testimoniare fino in fondo di fronte a Dio il proprio essere, la dignità della propria umanità.  Giobbe resiste alla tentazione di proclamarsi vittima, mentre Dio, con il suo silenzio e la sua assenza – nella malasorte spesso ci si chiede dove sia Dio -  dà un segno della Sua fiducia, concedendogli uno spazio nel quale determinarsi senza interferenze. Nel film ‘The tree of life si dice che ci sono due vie per affrontare la vita: la via della natura e la via della grazia. I protagonisti del film, dopo la morte del figlio, sono di fronte a questa scelta. Così avviene nella sofferenza: la via della natura porta ad una disperata ed angosciosa solitudine, mentre quella della grazia reca il conforto della fede. Giobbe poi si imbatte in Eliu, che elogia la sapienza divina rendendo ancor più esplicita la tesi dei tre amici di Giobbe. Non ha senso lagnarsi, perché, anche se la disciplina è dolorosa,  l’ordine impone ad ognuno di sottomettersi umilmente alle leggi di Dio. San Paolo sintetizza questo principio nella lettera ai Filippesi: “Per me vivere è Cristo e morire un guadagno”.  Non c’è nulla di sbagliato nelle tesi di Eliu, nelle quali tuttavia sembra non esserci posto per la caritas. Eliu, convinto di essere giusto, sembra  rappresentare l’antica tradizione cristiana, che,  preoccupata principalmente di salvaguardare la propria coerenza, privilegia un’etica fondata legalisticamente sul mero dovere. Ma di fronte ad un morale così formale profuma di un’umanità più autentica la bestemmia del disperato. Finalmente Giobbe si troverà al cospetto di Dio. Il Signore, anziché fornire una risposta, gli rivolge una domanda ovvero gli chiede dov’era al momento della creazione. Lo fa elencando le specifiche meraviglie del creato. Giobbe comprende, e sul suo volto compare un sorriso. L’amore  dell’uomo si manifesta attraverso la rinuncia alla pretesa centralità ed esclusività di un rapporto con Dio. L’uomo deve accettare di essere una semplice creatura.  In questa prospettiva il dolore e la sofferenza acquistano un valore relativo. Rinunciare a sé stessi significa perdere ogni cosa, creare un vuoto per disporsi ad accedere ad una dimensione superiore. Dio compenserà Giobbe ricostruendo la sua vita, dandogli altri figli. Ma quello che è avvenuto, in particolare la perdita alcuni figli, non può essere cancellato. Il dolore e la sofferenza sono incompatibili con una restituito ad integrum. C’è però un dato positivo: la sofferenza ammaestra, conferisce una nuova consapevolezza, quella che colloca la realtà umana, in un nuovo contesto, quello ultraterreno.   ROBERTO RAPACCINI    

2 commenti:

Sky Robertace ha detto...

Non avere la prospettiva dell'eternità, fa assolutizzare ciò che si ha e si fa nella vita quotidiana.
Quando siamo depressi pensiamo che la vita faccia tutta schifo; quando c'è qualcosa che ci riesce diventiamo esageratamente euforici.
In entrambi i casi siamo degli sciocchi.
Giobbe sa che uno solo è assoluto: Dio.
Rob SKY

Anonimo ha detto...

La fede o la si ha o no. Sono piu' vicino al pensiero orientale, e nello specifico al pensiero Taoista. Molto diffic
ile da perseguire per una mente occidentale. Leggo pratico rifletto è quello che riesco a ottenere fino a ora.

* * *

IN QUESTI ANNI ABBIAMO CORSO COSÌ VELOCEMENTE CHE DOBBIAMO ORA FERMARCI PERCHÈ LA NOSTRA ANIMA POSSA RAGGIUNGERCI

(Michael Ende)

* * *

A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro, sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi.

(Carl Gustav Jung)