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In questi anni abbiamo corso così velocemente che dobbiamo ora fermarci perché la nostra anima possa raggiungerci. (Michael Ende) ---- A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro. Sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi. (Carl Gustav Jung)

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO:QUANDO LA BANDA PASSAVA...
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230. RECENSIONI ALBUM ISRAELIANI di Sky Robertace Latini


“FORTE”   HaYehudim (da Israele) – 2007

Questi israeliani non sembrano fare giri di parole con il loro moniker: esso si traduce semplicemente in “Giudei”. Suonano un Metal sporco di Hard Rock che risente del Grunge dei Nirvana e dei Soundgarden, a cui si aggiunge un certo goticismo di sottofondo.  La band è stata formata dal chitarrista-solista/cantante Tom Petrover e dalla chitarrista-ritmica/cantante Orit Shachaf, i quali successivamente si sono sposati, ed ora sono uniti anche nella vita privata. In tutto i membri sono sette.  Quattro album: il primo nel 1995 (“Metziut nifredet”), poi nel ’98, nel 2002 e questo nel 2007. Cantano sia in inglese che in ebraico.  “DON’T LIKE” si basa tra il gioco ritmico e la voce maschile cupa e malinconica che lascia il posto alla femminile incattivita e rabbiosa nel ritornello. Non c’è evoluzione della linea melodica e nemmeno assoli, che tutto si basa su queste due contrapposizioni, la variabilità sta nel momento centrale quasi Nu Metal. Lo stile ondeggia fra il gothic e il crossover.  “EIN LAH MAKOM” inizia morbida e suadente con una atmosfera di tristezza infinita. Tutto è basato sulla voce maschile che è fluida e potente; il valore del cantato non sta tanto nella linea vocale ma nella forza interpretativa. Un rock abbastanza gotico che fa il paio con la prima traccia per carattere e idea. L’assolo non vive da solo, ma accompagnato al cantato. E’ talmente monolitica che appare più corta di quello che è (6 minuti).  “KAHA ANI” fa un po’ rock e meno metal, con un senso intimista ma corposo che la voce femminile srotola passionale evidenziando le proprie potenzialità. Belli i due assoli di chitarra sostenuti da un bel groove su un tempo medio.  “SOMEBODY ELSE” ha poco a che vedere con il resto del disco; è fuori contesto ma rende l’idea di come la band non sia legata ad una unica ispirazione. Lo stile è fortemente Kate Bush, quel poprock particolare dai toni brillanti in cui la cantante è diversa da come appare negli altri pezzi presenti in questo lavoro. Assolo chitarristico frizzante. “LINHYOT” è una soft song molto lenta. La voce maschile e la femminile si alternano alla pari anche associandosi. Bella, d’atmosfera e accattivante. Quasi prog nell’assolo che comunque ricorda la vecchia scuola anni ’70. “LEARNING” è parzialmente orientaleggiante, un po’ Led Zeppelin e un po’ Progressive, ma è un groove metal goticheggiante e acido, tipico ormai nel panorama internazionale. Forte presenza della voce che qui fa grande uso di vocalizzi e gorgheggi.  “WHAT ABOUT YOU ?” fa un ulteriore cambio di stile. Ci presenta una magica atmosfera alla islandese  Bjork. Un brano dolce e liricamente non rassicurante, che infatti termina molto poco dolcemente, quando entra la chitarra distorta e la voce si alza di tono con forte impatto emotivo.  La musica è fondamentalmente occidentale, a rendere l’oriente è la lingua ebraica, che quando anche è soft, con le sue aspirazioni indurisce la percezione. In realtà l’oriente c’è, si trova nelle sfumature di uno stile mai estroverso, ma piuttosto introspettivo, che dà quindi l’idea di non essere rock da saltellare, ma musica che fa intendere un miscuglio sfaccettato di odori e sapori. Però non è un lavoro di insieme E’ un album che colpisce dopo vari ascolti; sound serio.  Talvolta la voce maschile suona alla Ligabue o Litfiba , ma la somiglianza a più a che fare con i  toni carichi che con la bellezza e la capacità canora, che Petrover  è certamente ad un livello superiore. Non ci sono 4/4 netti e lineari, ma ritmiche complesse e dinamiche.  Molte delle loro canzoni sono accusate di avere un tenore ideologico e politico, anche se talvolta i testi paiono ambigui e di difficile interpretazione. Il titolo del disco si rifà al termine nel senso internazionale che ha in musicologia.    Sky Robertace Latini

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THE NEVER ENDING WAY OF ORWARRIOR”   Orphaned Land (da Israele) – 2010

Un album molto interessante da ascoltare interamente come un viaggio da intraprendere. “SAPARI” parte subito dicendo, non siamo occidentali. Comunque la voce iniziale ricorda la canzone di Bennato “Li belli gladioli” dall’album “Uffà uffà” del 1980. L’oriente presente in questo brano non evita loro di usare la ritmica della chitarra distorta in modo molto classico nell’Heavy Metal. Voci femminile e maschile si imbrigliano sapientemente in modo corale lasciando trasparire un senso di folclore etnico di gruppo.  “THE PATH Part.1-TREADING THROUGH  DARKNESS” è un brano diviso in due, la prima parte di quasi sette minuti e mezzo(questa) è molto intensa, la seconda (“The Pilgrimage”) cala di tono anche se appare più dura (rimanendo soddisfacente). Questa prima parte è fluidamente Progressive e, accanto a cadenze orientali, mette voce maschile tenuemente scream. Inizialmente è molto soft, con un cantato maschile soave sotto cui si sentono tastiere leggere, poi l’oriente morbido che passa ad una quasi sinfonica progressione metal. Il brano, mai pesante, è gentilmete elegante ma di polso. “OLAT HA’TAMID” fa tornare prepotentemente i suoni orientaleggianti, ma ricorda anche i Jethro Tull. Gli strumenti elettrici non sono preponderanti anche se riempiono gli spazi ovunque, lasciando però  a strumentazione più tradizionale e ai cori il primo piano. Brano breve ma incisivo.  “THE WARRIOR” è il brano che nel disco si lascia andare ad un certo sinfonismo ed ad una epicità di fondo, senza essere veloce o violento. Le tastiere sono l’elemento principale ma la chitarra offre un assolo liquido piuttosto interessante.  “DISCIPLES OF THE SACRED OATH” è tipicamente Progressive senza grandi originalità, eppure è un pezzo personale e ricco. La cattiveria si esprime attraverso un growl che viene seguito da un cantare scuro ma pulito. Il cantato pulito chiaro è comunque il principale. Dopo il terzo minuto si riaffaccia l’oriente, ma non è il momento più importante, e da qui in poi si percepisce un che di Iron Maiden.  “NEW JERUSALEM” è una piccola perla, e qui ritorna forte il medio oriente. L’acustica ci parla di quelle zone, ma la distorsione non si fa attendere sebbene sia ben incastonata senza fuoriuscire dai suoi limiti. La splendida e soave voce femminile è perfettamente modulata, mentre la seconda parte della strofa è affidata a quella maschile che scivola tra l’arrangiamento donandogli forza per il titolo che non è un vero e proprio ritornello. Si tratta di una composizione dolce che fa pensare alla luce, nonostante il testo parli di guerra. La parte finale suona acusticamente e usa anche percussioni.  Le sonorità orientaleggianti sono molto comuni nel metal, quindi da un certo punto di vista niente di nuovo, ma dobbiamo renderci conto che stiamo patrlando di una band del medio oriente, che quindi il sound orientale lo padroneggia diversamente. In effetti questa appartenenza viene continuamente espressa senza abbandonarsi ad eccessi folcloristici od etnici. Come la maggior parte dei gruppi Progressive, vari pezzi sono lunghi (“Disciples of the sacred oath” è il più lungo e dura  8 minuti e mezzo).  I brani sono quindici e vanno ascoltati tutti in ordine secondo la numerazione dall’inizio alla fine senza soluzione di continuità come un lungo viaggio; anche i brani minori acquistano valore nell’insieme. E’ ammaliante e estrania dalla realtà, ricercando atmosfere rarefatte e di ampio respiro. Non si tratta di un ascolto facile, cerca infatti, senza essere sperimentale, cioè rimanendo nella strutturazione ormai acquisita in questo campo, di regalare emozioni durature e non godimenti immediati che poi si perdono.  Secondo la band: “l’album si basa sul concetto della forza interiore di ognuno, chiunque può diventare il guerriero della luce. Noi siamo responsabili del mondo e dobbiamo svegliare questo guerriero”.  Sky Robertace Latini

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IN QUESTI ANNI ABBIAMO CORSO COSÌ VELOCEMENTE CHE DOBBIAMO ORA FERMARCI PERCHÈ LA NOSTRA ANIMA POSSA RAGGIUNGERCI

(Michael Ende)

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A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro, sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi.

(Carl Gustav Jung)