scorr

In questi anni abbiamo corso così velocemente che dobbiamo ora fermarci perché la nostra anima possa raggiungerci. (Michael Ende) ---- A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro. Sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi. (Carl Gustav Jung)

...in altre lingue...

...in inglese....

...in altre lingue...

LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO

LA FOTO DELLA SETTIMANA  a cura di NICOLA D'ALESSIO
LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO:QUANDO LA BANDA PASSAVA...
Questo blog non ha finalità commerciali. I video, le immagini e i contenuti sono in alcuni casi tratti dalla Rete e pertanto sono presuntivamente ritenuti pubblici, pur restando di proprietà del rispettivo autore. In ogni caso, se qualcuno ritenesse violato un proprio diritto, è pregato di segnalarlo a questo indirizzo : rapacro@virgilio.it Si provvederà all’immediata rimozione del contenuto in questione. RR
BENVENUTO! - Il Blog si occupa di Arte, Spiritualità, Creatività e Religione

252. RECENSIONI 2012 di Sky Robertace Latini


“XXX” Asia (dalla Gran Bretagna)  -  2012

Il trentesimo anniversario di carriera il gruppo lo festeggia con un nuovo disco in studio. Quindi non uno stare con le mani in mano, usando live o raccolte, ma lavorare e produrre; e il nuovo impegno compositivo (che va letto: “Triple X”) gioca le sue buone carte. “TOMORROW THE WORLD” è la traccia che inizia l’album e lo fa non con un attacco maestoso, bensì con un impasto dolce che però presto si tramuta in un bel ritmo beatlesiano. Un brano frizzante e delizioso; di ampio respiro. Contiene molti elementi, dalle tastiere Europe alla “The final countdown”, ai cori rarefatti, alla chitarra stile Yes, in un classico afflato alla Asia. “FAITHFUL” è un brano morbido e avvolgente che si avvale di una linea vocale suadente e dal feeling emotivo passionale. Un che di Abba si assaggia, ma verso il finale, il ritmo veloce e l’assolo corposo aumentano tonicamente il pathos dando un maggior senso rock. Inutile la versione orchestrale che sta alla fine dell’album, non aggiunge nulla al brano. “I KNOW HOW YOU FEEL” usa una tastiera dal suono alla Supertramp, ma tutta la struttura li ricorda; e in tal senso sentire anche il basso. Bel ritmo e bell’arrangiamento. Il carattere è quello del brano precedente (“Faithfull”) con un pizzico di brillantezza in più. Nella versione acustica, presente anch’essa nel disco, c’è uno stupendo assolo di chitarra non distorta. “FACE ON THE BRIDGE” è forse il pezzo più bello. Si percepisce una tastiera che è stata usata anche da Baglioni in “E ancora la pioggia cadrà” dall’album “E tu come stai” del … ; invece è una composizione pulsante e fortemente rock, vicina a certi Rush (per come possono gli Asia). Chitarra di Steve Howe che nel finale ha voluto dare di più. “No religion” purtroppo non posso metterla tra i brani migliori perché l’accento del ritornello suona troppo simile a “Don’t fear the reaper” dei Blue oyster Cult. Peccato, perché il resto è particolarmente gustoso e dà tono all’album essendo una delle tracce più hard rock. Da segnalare “Al gatto nero”, il cui titolo è proprio scritto in italiano. La segnalazione non riguarda l’elemento musicale in quanto si tratta di un rocketto leggero che non lascia il segno; la particolarità è invece quella di usare frasi in lingua italiana nel ritornello: “Tell me where you going to now, I’m going down to find AL GATTO NERO. Mi sento fortunato si si è vero. Via della luna quattro quattro zero”. Una curiosità che mi ha fatto sorridere, anche per l’accento straniero che il cantato possiede.  Il fatto che si usi il termine “delizioso” fa capire che tipo di musica siano gli Asia. A me la band ha fatto sempre uno strano effetto. E’ classificata come Prog-rock, ma per loro il termine Progressive è un parolone. A parte il primo album omonimo del 1982, che fu un vero colpo di genio artistico, originale e pregno, dove l’orecchiabilità era forte ma mai banalmente commerciale, tutto il resto della discografia gravita intorno ad un songwriting troppo leggero e spesso diluito, dove si predilige il catchy alla ricerca ispirata. Ma nello stesso tempo la loro versatilità li rende così accattivanti e tecnicamente preparati che non si può fare a meno di apprezzarli, perché comunque riescono sempre ad imprimere energia. Inoltre in ogni album colpiscono nel segno con tre o quattro song di livello.  Se mettiamo insieme un sacco di roba, mescolandola, formiamo gli Asia:  Supertramp; Yes; Alan Parsons Project (qui per esempio in “Reno”); Blue Oyster Cult (quelli dal sound più commerciale); Toto e tutto l’AoR; Beatles; Europe del periodo meno hard; Rush e persino Abba. Molte volte, durante l’ascolto, mi pare di star cadendo (o scadendo) nel pop e nella musica leggera. Pur se alcuni componenti della band hanno avuti rapporti con gli Yes e altra musica seria, quelle sonorità non trovano posto di eccellenza nel sound che gli Asia ci hanno abituato a sentire. C’è classe e maestria, ma molte volte non convincono. L’eleganza nella band è tutto; a volte, più che la sostanza, pare contare la forma. E ciò si percepisce anche in questo lavoro dove spesso si utilizzano riff scontati e molto sempliciotti. Addirittura si scade nel poco dignitoso stile Easy Listening. Comunque, stranamente, gli Asia mi attirano sempre e non mi stanco di infilarmi nel loro feeling. Non male, ma mi rimane il dubbio riguardo il loro effettivo valore artistico.   Sky Robertace Latini

***
“THE DEVIL’S RESOLVE”     Barren Earth (dalla Finlandia) - 2012

Un gruppo di forte impostazione progressive, in alcuni casi poco metal, che sa emozionare e trovare un alto livello espressivo. Voce pulita e growl si alternano inserendosi con precisione nel tessuto compositivo. Non mi piace solo quando un brano parte col growl lineare appena comincia una traccia, pare un artificio inutile. “PASSING OF THE CRIMSON SHADOWS” è perfettamente Progressive con atmosfera ariosa e delicata nonostante la presenza di growling e momenti ritmici intensi. La voce growl è il ritornello e ci sta benissimo perché è la musica intorno a dargli la giusta dimensione. Nel momento più soft basso e pianoforte permettono di imbastire un passaggio magico che anticipa l’inserimento di una seconda parte dal crescendo duro che alza la tensione dove growl e blasting introducono l’assolo.  “THE RAINS BEGIN” è splendida, non per niente è anche il brano scelto per il video ufficiale. La linea vocale a due voci sembra rifarsi alla sonorità di Simon and Garfunkel con la stessa classe del duo famoso. In realtà non si tratta di un pezzo acustico, infatti c’è anche growl e distorsione, ma la raffinatezza è massima, e l’aria è allegra. E’ presente anche una tastiera anni ’70 (stile Lord).  “AS IT IS WRITTEN” inizia con suono cornamusa, ma passa subito alla tastiera progressive. Invece è una canzone dal riff sabbathiano/stoner di sicuro effetto, scuro e polveroso. Ma il resto degli strumenti smorza la durezza senza comunque che venga abbandonata una nota di tensione. Quando questa parte pare terminare, si fa largo un pianoforte virtuoso che si pone ad intro della seconda fase strumentale con una ritmica più dinamica e fresca, un classico momento di vero ed eccitante progressive più rock che metal, fino all’assolo tastieristico stupendo, sorretto dai riff dell’inizio.  “WHITE FIELDS” percorre inizialmente invece la strada del puro metal con spirito più pesante anche se con sonorità non durissime. Ma è un incedere ossessivo e la voce vive della stessa atmosferica ossessione. Nella seconda parte una vocalità morbida si contrappone al riff secco ma rimane lo stesso tono forte. C’è molto della band Opeth. “WHERE ALL STORIES END” è un pezzo corale con alcune velleità di pesantezza ma che non diventa mai eccessivamente duro, anche quando entra in gioco il growl e la ritmica si fa più eclettica. Tastiere alla Yes e assolo chitarristico di buona fattura piuttosto tradizionale. Un lavoro molto interessante per pathos e songwriter. Le recensioni lo pongono nel Death Metal, ma se ce n’è è solo qualche schizzo qua e là, per il resto è puro Progressive, e neanche tanto metal. Ma elegante e stupendamente affascinante. Si tratta del prodotto di un supergruppo poiché i membri provengono da band come gli Amorphis; gli SwallowTheSun ; i Moonsorrow; i Mannhai e i Kreator (io conosco solo quest’aultimo, peraltro buonissimo). Sono alla seconda loro uscita discografica (la prima è stata del 2010).  I testi parlano di guerra; inquinamento; cupidigia eccetera. Solita roba per una band seria come questa. In una intervista al tastierista Martenson (rivista “Rock Hard”) viene fuori che gli piacciono gli inglesi Yes e gli italiani PFM, e tra le righe di questo disco si sente (non è sempre esplicito).  Sky Robertace Latini

***

“URD”    Borknagar (dalla Norvegia) -  2012

Uso di cantato growl e blasting ritmico ma non possiamo chiamare questa musica Black Progressive Metal, avendo connotati prettamente  Progressive con solo venature Black. La band viene considerata estrema, ma a me pare lontana dal sound dal quale i componenti provengono; ad ogni modo il chitarrista stesso rivela di non voler definire la propria musica Black Metal.  “ROOTS”  inizia con blasting e growl, ma c’è anche un che di epico nei cori. Il brano è relativamente duro ma i cambi di ritmo sostengono suoni morbidi  che vincono sulla percezione della velocità, apportando una atmosfera ariosa in cui il Progressive è la matrice principale. Soprattutto poi nella seconda parte con il tipo di acustico e di voce pulita molto ricca di emotività.  “THE BEAUTY OF DEAD CITIES” è il pezzo più magico e bello del lotto. Il cantato quasi falsetto ricorda gli Yes, l’atmosfera comunque è quella dei gruppi progressive rock degli anni ’70 che si rifacevano agli ultimi anni ’60. Fascino antico senza eccesso di vintage. Una canzone molto aperta e luminosa che sa entrare in modo fresco in testa. Totale assenza di sonorità Black a differenza del resto dell’album.  “THE EARTHLING” inizia in modo intimista e soft, però vira in un leggero crescendo verso la distorsione e suoni sofficemente affilati dove si fa posto una voce roca (non troppo growl) fino a incrementare il ritmo che scurisce il feeling. Del cantato è però soggetto sempre la voce pulita, che fa venire in mente i System Of A Down. Una vera perla di piacere.  “THE PLAINS OF MEMORIES” è uno strumentale dai toni pacati in cui pianoforte e violini creano l’atmosfera soffusa e placida che non può dirsi prettamente metal anche se  si percepisce che l’anima lo è, all’interno della tradizione di sonorità morbide alla Metallica o Apocalypta.  “FROSTRITE” è un'altra traccia molto bella. Il cantato inizialmente, non so perché, mi fa venire in mente l’atmosfera degli ottantiani Warlord. E’un Hard Rock che, pur utilizzando la tecnica dei gruppi Black e Death, non è mai violento.  “THE WINTER ECLIPSE” è una composizione dura dal tappeto sonoro Black, che però si stempera quando viene usata la voce pulita, la quale, accompagnata da tastiere anni settanta, ricorda anche l’inizio anni ’80 di certa New Wave non metal. Ma soprattutto nel finale l’espressione diventa progressive.  Una opera dal fascino incontestabile e finalmente una cosa di pregio che in modo personale sa amalgamare l’oscurità con la luce, preferendo spesso spegnere il buio in favore del sole (cosa dicano i testi non so, ma la sensazione sonora è questa). Si sente la voglia di creare una realtà musicale libera e appassionata, del resto il chitarrista Oystein G. Brun riferisce che suonare come gli AC/DC lo avrebbe annoiato. L’ambientazione dei testi va verso la natura, legandosi ai concetti filosofici norvegesi, considerando la classificazione del bene e del male solo un artificio umano non presente in natura, e pensando alle religioni monoteiste come a qualcosa di nichilista. La loro prospettiva, come leggo sulle interviste, conduce al paganesimo per esplicita ammissione del gruppo. Al di là delle loro idee culturali, la musica è di alto livello.  Sky Robertace Latini

***

“BANKS OF EDEN”  Flower Kings (dalla Svezia)  -  2012


Una opera lunga e corposa. La band è all’undicesimo album, con grandi frutti sia compositivi che tecnici.  “NUMBERS”, che apre il disco, è una suite di ben 25 minuti e più. E’ molto nutrita di atmosfere ed emozioni, mai perdendo il feeling con l’ascoltatore. Si sente grande ariosità, scorrendo quando in fluida energia, toccando anche certe altezze chitarristiche, e quando in rarefatto raccoglimento, grazie alle tastiere e al basso; e anche la voce sa essere sapientemente dosata.  Si sentono tante influenze, compresi i Beatles. La chitarra solista sa donare pathos meglio di altri strumenti qui generalmente non così in primo piano. E’ multiforme, non rimane in un filo logico, lasciando che le variazioni prendano la loro autonoma strada, senza che vi sia un vero tema conduttore se non proprio alla fine con un ritorno a quello iniziale. Eppure la composizione è bellissima e non appare frammentaria. “FOR THE LOVE OF GOLD” (oltre sette minuti) è un brano soffice e quasi allegro, ricco da un punto di vista tastieristico, sostenuto da una acustica ritmica. L’assolo di chitarra distorta e la struttura ricordano in qualche modo gli Yes (compresi i cori) senza esserne pedissequamente una copia. Anzi, sul finale l’assolo si fa molto rock. “FOR THOSE ABOUT TO DROWN” (oltre sette minuti) fa sentire un che di Beatles, e non poco. E’ un pezzo ritmato (non veloce) leggermente serioso e quadrato, con dei momenti rilassati. “FIREGHOSTS” (quasi sei minuti) insapora con un vocalismo PinkFloydiano, e magari anche Bowiano, un feeling elegante e raccolto. Globalmente (quindi strumentalmente) lo stile contiene anche i Genesis. Tutto molto composto e ordinato.  “GOING UP” (cinque minuti) ha un po’ il sapore degli Yes, e perché no, anche del lato meno leggero degli Asia. Brano pieno di vitalità con piglio solare ed evocativo.  I F.Kings sono riusciti a fare la summa di tutta la tradizione Progressive Rock storica, cioè ad interpretarne al meglio la bellezza. Senza mai cercare una vera e propria personalità, essi riescono però a costruire un viaggio succoso. Non ci si annoia mai. Non si tratta di un disco derivativo ma di un attingere da fonti conosciute per estrarne acqua buona, fresca e anche frizzante. Pieno di assoli che però non risultano mai eccessivi, lasciando molto spazio al songwriting anch’esso mai troppo enfatico, ma intenso si. Yes; Pink Floyd e Genesis escono dai pori di questo tessuto sonoro, e anche dell’altro, e non sembra che ci sia timore reverenziale. L’insieme è accattivante e mai povero di idee, mai indeciso; possiamo parlare di un approccio forte, nel senso di solido, che dona veramente il piacere dell’ascolto.  Sky  Robertace Latini

***

“THICK AS A BRICK 2”    Jethro Tull (United Kingdom) – 2012

L’idea di una apparizione solo commerciale, con un contenitore in realtà vuoto, decade appena inizia l’ascolto. Si percepisce infatti l’impegno e la vena compositiva ispirata. La voce di Anderson è affascinante come un tempo e assolutamente caratteristica. “PEBBLES INSTRUMENTAL” è un ottimo pezzo strumentale folk che risente di velleità da musica classica. Flauto, fisarmonica e una chitarra dalla distorsione leggera per un songwriting frizzante e fresco.  “UPPER SIXTH LOAN SHARK” è un brevissimo brano pacato acustico che si basa su di una linea cantata.  “BANKER BETS, BANKER WINS” è un Hard Rock dal ritmo cadenzato. Segue una linea vocale facile, ma sostenuta da un arrangiamento raffinato, che usa la chitarra solista elettrica con una certa intensità.  “SWING IT FAR” è soprattutto una traccia soft, sostenuta dal pianoforte, anche se possiede momenti hard. Lo stile in realtà esce un po’ fuori dai binari di Anderson, prendendo invece il modo rock che era degli Who di “Tommy”.  “ADRIFT AND DUMFOUNDED” è un country rock che passa dall’acustico alla distorsione e viceversa, fino poi alla parte centrale Prog piuttosto dura ed elettrica.  “OLD SCHOOL SONG” riprende il tema già presente nell’album n. 1, ma poi lo trasforma. E’ ritmato e allegro. “WOOTOON BASSETT TOWN” fa sentire un versante compositivo delicato e malinconico. “KISMET IN SUBURBIA” usa un riff Hard Rock che ricorda “Locomotive Breath” che stava su “Aqualung”. “WHAT IFS, MAYBES, MIGHT-HAVE-BEENS” contiene parte del tema del vecchio album, e passa da un momento ad un altro con una certa varietà strumentale in contrapposizione ad un motivo cantato che invece si ripete. Il pezzo si conclude con il tema che dava il titolo all’album, e con esso si conclude anche l’album.  L’album non può essere capito se ascoltato a pezzi, è un tutt’unico i cui brani sono collegati in modo sensato. Del resto il primo “Thick as a brick” era una unica composizione lunga due intere facciate di vinile (in totale quasi 44 minuti), prima volta nella storia del rock. Pur diviso per tracce, anche questo appare come una opera unica da godere senza soluzione di continuità.  La chitarra distorta non è mai tagliente e aggressiva ma sempre leggera, per dare un tono corposo al brano ma non per sovrastare la linea melodica. E l’arrangiamento è ricco, mai ridondante, lasciando una buona sensazione traccia dopo traccia.  Quando gruppi Progressive dell’ultimo decennio (e qualcosa più) vanno ad abbeverarsi al passato dei settanta sembra che facciano una opera onorevole, ma poi sentiamo gli Opeth ricopiare elementi e sensazioni già sperimentati all’infinito e ormai talmente saturi da perdere l’idea della sorpresa, e i Porcupine Tree appiattirsi man mano che proseguono nella loro carriera, incapaci di trovare nella loro vecchia acqua, quella frizzantezza di prima. Poi ecco farsi vive band che in quel passato avevano i loro fasti, e senza rinnovamento alcuno, riescono a proporre un Prog-rock saporito. Infatti Ian Anderson è riuscito senza strafare, a creare un bel nuovo paragrafo di musica, senza alcun bisogno di dimostrare qualcosa…così naturale appare questo suo lavoro.  Di certo quello storico del 1972 rimane una opera d’arte irrangiungibile, qui invece manca il colpo di genio. Averlo intitolato “Thick as a brick 2” avrà sicuramente creato eccessive aspettative. Ad ogni modo non mi sento assolutamente deluso: il menestrello prog-folk-rock è tornato con tutte le sue antiche caratteristiche, flauto compreso. Sarà il suo ultimo colpo di coda? Spero di no.    Sky Robertace Latini


Nessun commento:

* * *

IN QUESTI ANNI ABBIAMO CORSO COSÌ VELOCEMENTE CHE DOBBIAMO ORA FERMARCI PERCHÈ LA NOSTRA ANIMA POSSA RAGGIUNGERCI

(Michael Ende)

* * *

A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro, sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi.

(Carl Gustav Jung)