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In questi anni abbiamo corso così velocemente che dobbiamo ora fermarci perché la nostra anima possa raggiungerci. (Michael Ende) ---- A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro. Sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi. (Carl Gustav Jung)

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO:QUANDO LA BANDA PASSAVA...
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314. TERRA/MEMORIA - DONNE/TABACCO di Chiara Passarella

Terra/Memoria - Donne/Tabacco
Per motivi legati al mio lavoro, sono venuta a conoscenza  del libro di Gaetana Luchetti   “Dal verde al giallo. Storia e storie di terra, di donne e tabacco” (CRACE, Narni 2013) che verrà presentato giovedì 30 maggio 2013 alle ore 17,30 presso il Tabacchificio Pietromarchi di Marsciano in provincia di Perugia. Mi ha subito colpito il titolo per i chiari riferimenti ai colori (verde/giallo), alle donne, alla terra, al tabacco ed alla storia intesa come memoria. Mi sono documentata ed ho trovato la presentazione che Rossella Del Prete dell’Università degli Studi del Sannio ha scritto per presentare questo libro e che riporto integralmente
Presentazione
Raccontare il Lavoro… di Rossella del Prete (Università degli Studi del Sannio)  «Ma che ci fai con i miei ricordi?». Con questo interrogativo, apparentemente banale e colloquiale, Giuliana Massoli Cavalletti, prima tra le donne intervistate da Gaetana Luchetti, apre una profonda riflessione sull’uso storiografico della memoria. Perché è vero, per ricostruire la storia sociale e produttiva di un territorio, lo storico ha bisogno di fonti quantitative e documentarie, di antiche carte, che abbiano fissato, nero su bianco, dinamiche e processi di sviluppo socio-economici. Ma perché la storia si arricchisca anche di storie, espressione delle diverse identità culturali e di vite vissute, è necessario che lo storico tenga conto anche dei ricordi, cioè delle fonti orali, e che impari ad ascoltare, esercitando quello che diventa un lavoro di relazione umana oltre che di interpretazione dei documenti storici.E così l’Autrice, che si affida quasi esclusivamente al racconto del lavoro, lasciando alle immagini la descrizione documentata dei fatti, esercita quella che è ormai considerata l’arte dell’ascolto che è molto più di una relazione tra due o più persone. Quattordici donne e quattro uomini si raccontano a partire da un elemento comune: la terra…da cui nasce il tabacco. Il lavoro, con il suo portato di speranze e fatiche, di soddisfazioni e delusioni, elemento di cultura materiale e di scansione temporale della vita degli individui, diviene una lente per osservare in modo più meditato non solo il tempo passato ma anche il nostro tempo presente, fornendone interpretazioni e percorsi ricchi di senso. Il volume, frutto di un’attenta e suggestiva riflessione effettuata per il «timore della dimenticanza», contribuisce a una rilettura di una parte di storia del lavoro italiano in un’ottica di genere. Ma tracciare i lineamenti di una storiografia al femminile non vuol dire cadere negli stereotipi dettati dal genere, vuol dire piuttosto portare alla memoria fondamentali aspetti della realtà. Il lavoro femminile è un terreno dove si intersecano e si sovrappongono, spesso contraddicendosi, istanze diverse, a partire da quella linea di confine che c’è tra dentro e fuori la casa, tra visibile e invisibile, tra famiglia e lavoro, tra economia informale e formale. Nelle pagine di questo libro, l’analisi del lavoro femminile ha come quadro di riferimento la comunità e la famiglia, in un orizzonte temporale scandito da storie familiari fatte di morti, nascite e matrimoni. L’età media degli intervistati va dai 73 ai 90 anni, la memoria storica rievoca così il periodo compreso tra gli anni trenta e settanta del Novecento: in mezzo la seconda guerra mondiale e poi il “boom economico”. Come sempre accade, quando si lavora con le fonti orali, l’ambito della ricerca si allarga, trasformando l’ottica e il punto di vista grazie all’impatto dei narratori, perché, per diverse ragioni, che toccano la sfera dei sentimenti, dei tabù e della riservatezza personale, quello che lo storico desidera sapere talvolta può non coincidere interamente con quello che le persone intervistate desiderano raccontare. Ogni incontro, dunque, rischia di trasformare radicalmente l’agenda della ricerca, diventando una sorta di “dialogo di pensiero” in cui la comunicazione tra passato e presente costruisce numerosi ponti da trasporre nella scrittura. Ecco come, dalle varie interviste, il racconto del lavoro si arricchisce di altri dettagli, sfociando in altri contesti, sempre e comunque legati alla famiglia perché affrontare il tema del lavoro conduce a ripensare un elemento essenziale nella vita di tutti gli individui che, osservato nel suo evolversi, diviene per noi oggi specchio del trasformarsi del vivere individuale e collettivo, della socialità e dei rapporti tra individui. Penso, ad esempio, all’intervista a Marina Velloni Ricci (classe 1936) che, con una punta d’orgoglio, si definisce una «lavoratrice in gamba» (era la legarina n. 120 nel Tabacchificio Pietromarchi). Marina comincia il suo racconto partendo da un brutto ricordo di guerra (è oggi l’unica superstite del bombardamento che colpì Marsciano il 23 ottobre 1943) e la sua narrazione, come quella degli altri intervistati, insiste nel collegare l’oggetto principale dell’intervista – il suo lavoro connesso al tabacco – con le origini della sua storia personale, familiare e cittadina. È una costante dell’intervista a schema libero che ci ricorda quanto sia importante saper ascoltare. L’uso critico delle fonti orali implica procedimenti e atteggiamenti diversi che derivano dal diverso processo di formazione della stessa fonte orale e che non può prescindere dal fatto che la memoria sia sempre qualcosa di attivo, uno spazio di relazione con il passato, una rete continuamente ristrutturata dalle domande, dalle preoccupazioni, dalle esigenze e dalle nostalgie del presente1. D’altronde, il fascino delle fonti orali sta proprio nel fatto che esse non si limitano a testimoniare sui fatti, ma li elaborano e ne costruiscono il senso attraverso il lavoro della memoria e il filtro del linguaggio. Il lavoro con le fonti orali, dunque, deve tenere insieme tre fatti distinti: un fatto del passato (l’evento storico), un fatto del presente (il racconto che ne viene dall’intervistato) e un fatto di relazione e di durata (il rapporto che esiste e che è esistito fra questi due fatti)2. Solo attraverso uno studio interdisciplinare del passato si possono rimettere insieme i pezzi della narrazione storica, troppo spesso frammentate da ideologie e prese di posizione. Mettere in dialogo le voci del passato con quelle del presente, oltre che un compito storiografico, vuole dunque essere una proposta critica, uno stimolo alla riflessione. Ecco perché il lavoro dello storico orale deve includere la storiografia in senso stretto (la ricostruzione del passato), l’antropologia culturale, la psicologia individuale, la critica testuale (l’analisi e interpretazione del racconto) e l’applicazione della seconda alla prima. La storia orale è dunque storia degli eventi, storia della memoria e revisione degli eventi attraverso la memoria. La memoria, a sua volta, non è un mero deposito di dati da cui recuperare informazioni, ma un processo in continua elaborazione di cui studiare le modalità. In un’epoca in cui lo strapotere di massa tende a frammentare il soggetto in molteplici identità, quasi mai reali, dovrebbe essere fondamentale valorizzare l’interazione tra memoria e presente, facendo attenzione alle specificità del locale. Ancora oggi i più importanti contributi alla storia operaia riguardano, quasi esclusivamente, la popolazione maschile; al contrario, le testimonianze raccolte in questo volume, come in molti altri venuti alla luce nell’ultimo ventennio, riportano alla luce ciò che la politica, l’opinione pubblica o l’orientamento storiografico di certe epoche hanno per lungo tempo destinato al silenzio: la partecipazione delle donne ai processi produttivi del Paese. Il lavoro maschile e quello femminile restano storicamente divisi da un pregiudizio di fondo che assegna al primo l’esclusiva della complessità, al secondo quella dell’inferiorità. Ancora oggi il lavoro femminile è spesso considerato inferiore semplicemente perché svolto dalle donne, le quali, trasferendo sul posto di lavoro, il loro status di individui subalterni, inconsapevolmente definiscono, limitandolo, il valore del loro lavoro. L’invisibilità del lavoro delle donne, perpetuata per secoli a più livelli, è stata in effetti la conseguenza di quanto accadeva nei settori trainanti dell’industria italiana, la siderurgia e la meccanica, regni incontrastati della mano d’opera maschile, ma le tabacchine, a differenza delle altre operaie, hanno attraversato l’Italia in maniera trasversale, tra attività rurali e industriali, da Nord a Sud del Paese. La larga manovalanza femminile impiegata nella coltivazione, ma soprattutto nella trasformazione del tabacco, non è più sommersa o invisibile e delinea uno scenario inesauribile nel quale si inscrive l’epopea di una collettività che, ampliando il suo territorio, abbatte confini e frontiere e addirittura edifica una Nazione: il Monopolio di Stato sul tabacco creò la grande fabbrica italiana, strettamente dipendente dal settore primario, e, per la prima volta, largamente femminilizzata. Le tabacchine hanno costituito una delle più numerose e significative manovalanze femminili nella storia del lavoro italiano; esse diedero il via alle prime rivendicazioni per la tutela della salute delle operaie manifatturiere e furono le più agguerrite nella partecipazione agli scioperi, in particolare a quello nazionale del 1914. Le tabacchine impiegate nelle grandi manifatture urbane (Torino, Milano, Venezia, Firenze) poterono contare su salari garantiti, per quanto bassi, e la presenza di organizzazioni sindacali, più o meno consolidate, permise loro di intraprendere azioni rivendicative impensabili altrove; al contrario, le tabacchine impiegate nelle aziende a concessione speciale vissero ancora una dimensione “rurale” della loro emancipazione, soprattutto nel Mezzogiorno. La storia del lavoro femminile connesso al tabacco è dunque una storia larga e plurale, a più dimensioni e a più voci, che a volte si incrociano e si intersecano, a volte solo si affiancano e sovrappongono. È una storia che racconta insieme dell’agricoltura e dell’industria, della campagna e della fabbrica, di uomini e donne. Molti sapevano, e le statistiche lo confermano, che la percentuale delle donne addette alla lavorazione del tabacco, a livello nazionale, era altissima e di gran lunga superiore a quella degli addetti uomini, ma allora cosa le ha rese tanto invisibili così a lungo? Sicuramente un retaggio culturale difficile da rimuovere che ha sempre considerato il lavoro delle donne inferiore a quello degli uomini e che ha poi condizionato un’impostazione della ricerca che continua, ancora oggi, a tenere separati gli studi della storia di genere da quelli di una storiografia nazionale. Un gap difficile da superare in un Paese in cui la ricerca storica è gestita in maniera corporativa e procede per compartimenti stagni, ormai ampiamente superati a livello internazionale. Non è un caso che la storia orale, con cui le donne hanno cominciato a raccontarsi, si sia sviluppata prima negli USA, intorno agli anni trenta del Novecento, poi in Gran Bretagna edin Canada e soltanto dopo, alla fine degli anni settanta, anche in Italia, dove, ancora oggi, viene guardata con una certa diffidenza dagli storici tradizionali e ancor più dagli storici economici. L’interesse per la tecnica della storia orale muove dal superamento dei pregiudizi della storiografia ottocentesca, che riconosceva la scientificità esclusivamente all’uso di fonti scritte, relegando quelle orali alle “società senza scrittura” (il mondo extraeuropeo da un lato, le classi popolari dall’altro). Il valore inesauribile dell’interdisciplinarietà è stato colto a pieno dalla metodologia della storia orale che, senza trascurare la storiografia, ha favorito il confronto continuo con gli strumenti propri di altre discipline quali l’antropologia, la sociologia, l’etnologia, ecc., recuperando l’esperienza storica dei cosiddetti mondi senza scrittura, fatti di vita quotidiana e di settori sociali tradizionalmente esclusi dalla narrazione storica ufficiale. Gaetana Luchetti si cimenta con l’esperienza storica di questi mondi, sperimentando il metodo della storia orale e quello della narrazione storica. Il lavoro delle donne, ma non solo, è il vero protagonista di questo volume, che racconta l’enorme “desiderio” di lavoro delle tabacchine umbre e il racconto, si sa, è un metodo particolarmente caro alla sfera femminile. Lo sa bene l’Autrice che, donna tra le donne, usa la scrittura per trasferire sulla pagina emozioni, sensazioni, relazioni, ricordi… Il racconto – dice Alain Touraine nel suo Le monde des femmes – è un metodo fondato sulle esperienze per superare l’aridità dell’approccio “oggettivo” che, necessariamente (essendo esso improntato al mondo maschile), impedisce di cogliere la realtà dell’essere donna. Oggi sono tanti gli economisti costretti a riconoscere che le donne entrate nel mercato del lavoro hanno fatto registrare un forte aumento della loro presenza in diversi settori professionali e, portando con sé sguardi, saperi, modi di collocarsi differenti (requisiti prima confinati nella sfera privata-riproduttiva dell’esistenza), hanno determinato persino un “divenire femminile del lavoro”: relazione, comunicazione, soggettività sono oggi valori “altri” entrati a far parte della razionalità produttiva dell’economia postfordista e stanno modificando ciò che conta come produttivo. Gaetana Luchetti, non nuova a questo tipo di esperienze, che diventa qui esteta e “artista delle relazioni umane”, lo sa bene, ecco perché ha avvicinato donne e uomini di un mondo, quello del tabacco e del lavoro operaio tra terra e fabbrica, per raggiungere una coralità di emozioni, di produzioni artistiche ed economiche. Questioni come i differenziali retributivi, gli orari di lavoro, il cottimo, il rapporto tra privato e pubblico, la “doppia presenza” delle donne, il lavoro di cura dei figli, il matrimonio, non possono essere affrontate con metodi oggettivi se a esserne protagoniste sono le donne piuttosto che gli uomini. Sono questioni legate alla storia personale, all’autostima, alla modalità di percezione di sentimenti quali l’ambizione, il desiderio di autonomia, di competizione, di emancipazione, l’affettività, tutto ciò che di fatto non può essere definito come una cosa in sé, perché allude al vissuto e alla soggettività. È quanto emerge dalle diverse voci che animano il volume, tutte razionalmente concordi sul fatto che il lavoro della tabacchina fosse «un impiego sicuro» al punto da poter affermare che «a quell’epoca, chi sposava una tabacchina era un uomo fortunato: liquidità certa». Pagine intense, quelle prodotte da Gaetana Luchetti, in cui alla prosa, prima regolata e razionale della descrizione dei fatti, poi più libera, emotiva e irregolare delle testimonianze, si alterna la poesia che aggiunge emozioni, malinconie, ma anche colori, suoni, odori e sapori e rende tutto più bello, perché tutto sa di vita / intorno al tavolo di sedie impagliate, in quel tramestio di pertiche e di spaghi bagnati di labbra turgide…, anche quando «qualcuna si ammalava perché la nicotina intossica e l’aria era impregnata di polvere e di sapore di tabacco» perché «quello della tabacchina è un mestieraccio! Sempre sporche, le mani impastate e appiccicose, quell’afrore aspro e pesante di tabacco addosso che non partiva mai, anche le lenzuola e il pane sapevano di Kentucky e di Bright». Ma il tabacco era anche pieno di colori, quelli che «la cernitrice sapeva dividere bene» perché «c’era il color oro, l’arancione, il limone, il macchiato e il bruciato. Per il marrone c’era il bruno forte, il chiaro, lo scuro… Poi c’era il verde limone, il verdino, il verde scuro…»  e «le donne del tabacco erano quell’esercito di grembiuli e di pantaloni, di stivali e di camicie a quadri, di cappelli e di foulard che colorarono per lungo tempo le strade e i campi del Marscianese… fiume di ragazze che alla stessa ora, ogni giorno, si snodava dal tabacchificio e si diramava in rivoli minori…». Un lavoro duro, pesante e fortemente discriminante quello delle tabacchine di Marsciano, ma che qui si tinge di poesia, emozioni, rossori, passioni e talvolta malinconie. Un lavoro che acquista una sua bellezza, a tratti metafisica e consolatoria, ma intesa come “categoria economica” sulla quale tenere sempre aperta la discussione e il confronto. Bellezza dei luoghi, bellezza dei ricordi, bellezza delle relazioni, che si giocano non sul desiderio predatorio e mortale di integrare l’altro, ma sulla necessità di considerarlo il confine, il bordo essenziale della nostra libertà.In questo libro risiedono le radici di una comunità, un patrimonio culturale importante da far conoscere e valorizzare. Le storie di vita, riportate in forma soggettiva nel testo, contemplate e rivisitate negli intermezzi poetici creati dall’Autrice, costruiscono la partitura vitale del volume in cui emerge la coralità di un’esperienza produttiva collettiva, la singolarità di vite vissute in tempi e luoghi diversi, il confronto generazionale, la cassa armonica della “casa” quale luogo di riferimento per eccellenza e la vastità della terra madre-matrigna, in cui le storie sono profondamente radicate. La bellezza è però una finalità essa stessa e non deve raggiungere nessun fine. All’estetizzazione del lavoro (dopo Simone Weil!) sono arrivati anche insigni economisti del nostro tempo e bellezza e creatività son diventate oggi ingredienti essenziali della produttività e della competitività. Nella forma si coagula quel quid che può rendere originale e irriproducibile un prodotto sui mercati, sempre più omologati dalla globalizzazione. Ma creatività e bellezza costruiscono la loro struttura su un binomio imprescindibile dal loro esistere, una sorta di “bene” raro: la capacità di avere relazioni con il mondo e l’attitudine all’ascolto.
Note:
1 Cfr. Daniel Bertaux, Les récits de vie. Perspective ethnosociologique, Paris, Nathan, 2003.
2 Alessandro Portelli, Un lavoro di relazioni: osservazioni sulla storia orale, in www.aisoitalia.it, n. 1, gennaio 2010 (http://www.aisoitalia.it/2009/01/un-lavoro-di-relazione/).
Trovo quanto sopra da me integralmente riportato, senza nulla togliere né aggiungere, molto interessante ed in aderenza con le tematiche trattate dal nostro blog. Vi ho trovato memoria storica. poesia, fatti socialmente ed culturalmente interessanti: parole e concetti che vale la pena leggere.
CHIARA PASSARELLA

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IN QUESTI ANNI ABBIAMO CORSO COSÌ VELOCEMENTE CHE DOBBIAMO ORA FERMARCI PERCHÈ LA NOSTRA ANIMA POSSA RAGGIUNGERCI

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