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In questi anni abbiamo corso così velocemente che dobbiamo ora fermarci perché la nostra anima possa raggiungerci. (Michael Ende) ---- A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro. Sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi. (Carl Gustav Jung)

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO:QUANDO LA BANDA PASSAVA...
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332. BEATI PAUPERES SPIRITU ( Mt. V, 3) di Roberto Rapaccini



Come cattolico mi sono posto spesso due quesiti: l’effettiva consistenza del libero arbitrio  e chi in concreto sono i poveri di spirito destinati ad ereditare il Regno dei Cieli. Le Beatitudini traducono in termini concretin il messaggio evangelico; per questo si può attribuire ad esse un valore ‘programmatico’. Il Fondatore dell’Opus Dei, Josemaria Escrivà, così ne riassumeva effcacemente il senso:  Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. «Se vuoi raggiungere questo spirito, ti consiglio di essere parco con te stesso e molto generoso con gli altri; evita le spese superflue per lusso, per capriccio, per vanità, per comodità...; non crearti esigenze. In una parola, impara con S. Paolo ad essere povero e ad essere ricco, ad essere sazio e ad aver fame, ad essere nell’abbondanza e nell’indigenza. Tutto posso in colui che mi dà forza. E, come l’Apostolo, anche noi risulteremo vincitori nel combattimento spirituale, se manteniamo il cuore distaccato, libero da legami» (J. Escrivà, Amici di Dio, 123). Nonostante le spiegazioni ufficiali la lettura delle Beatitudini ha sempre avuto per me un contenuto criptico: chi sono i poveri di spirito citati dal Vangelo secondo Matteo al capitolo V.  Il Discorso della montagna o delle Beatitudini è riportato anche dal Vangelo secondo Luca al cap. VI. Le Beatitudini sono il modello a cui ci si deve ispirare per vivere secondo gli insegnamenti di Cristo. Chi vive osservando questi principi è beato, cioè felice, non solo in quanto  destinato alla salvezza, ma perché operare il bene gratifica di per sé. La prima istintiva deduzione è la loro corrispondenza con le  persone limitate intellettivamente. La povertà di discernimento raramente però si accompagna all’umiltà che apre le porte del Cielo, e  che dovrebbe essere una conseguenza della consapevolezza dei propri limiti. La persona affetta da miopia intellettiva al contrario è in genere fastidiosamente presuntuosa. Confonde la fede con l’ignoranza. Dice: Io credo e non mi interessano tanti discorsi. Il senso di questa frase non risiede in una resa della ragione di fronte alla profondità di un mistero che può essere esplorato solo con la contemplazione che supplisce all’indigenza del pensiero razionale.   Più semplicemente queste parole sono un alibi per  giustificare la strutturale incapacità di articolare il proprio pensiero, che è profondamente ignorante e balbettante.  In maniera specularmente contraria le solide potenzialità dell’ingegno possono alimentare quel senso di autosufficienza che allontana da Dio. Alcune volte la mancanza di comprensione della Parola delle Scritture è indice dell’assenza totale di acume.  Non di rado paradossalmente questa condizione di superficiale e sistematico rifiuto della problematicità dell’esistenza genera un senso di convinta superiorità nei confronti di chi sa guardare più lontano. Uno strano circolo vizioso produce la falsa coscienza di essere degli illuminati, perché si è oltre le questioni che si pongono gli altri ‘comuni’ individui. Questo è il risultato di una mediocrità che, come anche le altre, non ha niente di aureo (la locuzione latina aurea mediocritas non significa  un'aurea mediocrità ma un’ottimale moderazione; è tratta dalle Odi - 2, 10, 5 - di Orazio. In Latino il termine  mediocritas, infatti, non ha il valore negativo che ha in italiano; la parola mediocrità significa stare in una posizione intermedia, e contiene l’esaltazione del giusto mezzo ed il rifiuto di ogni eccesso). Questi individui non possono essere i poveri di spirito citati nel  brano delle Beatitudini. Più che beati la loro irritante, molesta e fragile presunzione li destina alla dannazione, restando aperta e impregiudicata la questione della responsabilità per quello che si è.  Tuttavia, per la loro salvezza  possono investire nelle opere, nella dedizione agli altri. La povertà spirituale è invece connessa all’umiltà, coincide con il riconoscimento dei limiti creaturali. Non è miseria materiale: non si riferisce agli  averi. Riguarda invece la consapevolezza dei confini dell’essere. Una ricognizione sulle possibili scelte etiche dell’uomo può contribuire a delineare il profilo del povero di spirito di cui parla il Vangelo di Matteo. In proposito, ho letto recentemente un saggio nel quale si distingue fra etica di Cristo e quella che attualmente caratterizza molti cristiani. Nel libro di  Castillo Josè  M., Fuori dalle righe si legge che “lo specchio del comportamento etico non è la propria coscienza, ma il volto di coloro che vivono con me. Quando questo volto esprime pace, speranza, gioia e felicità, perché il mio comportamento genera tutto questo, allora è evidente che il mio comportamento è eticamente corretto”. L’etica di Cristo può essere definita come etica del bisogno altrui. Cristo nella sua vita pubblica si è occupato principalmente della felicità e del bene degli altri, sanando ed ammaestrando. Il Cristianesimo ha infatti un’essenza altruistica, mentre le altre religioni o filosofie, come ad esempio il Buddismo, si concentrano sull’evoluzione spirituale dell’individuo; l’aspetto altruistico rimane spesso un connotato recessivo. Per Cristo la necessità di perseguire il bene altrui prevale sul rispetto formale di qualsiasi convenzione: Egli non esita a guarire di sabato, trascurando la norma sul riposo settimanale.  Molti cristiani sono invece animati da un’etica del dovere: su tutto prevale un legalistico rispetto delle disposizioni, anche se nel caso concreto esse mettono in secondo piano il bene altrui. Un dovere etico o religioso non è sempre codificabile in maniera soddisfacente; inoltre l’interpretazione formalistica di un precetto può  in alcuni casi ledere l’equità della fattispecie concreta. I Romani sintetizzavano questa concetto con la locuzione summum ius, summa iniuria, ovvero il massimo del diritto può determinare il massimo dell’ingiustizia (La frase è citata come espressione proverbiale da Cicerone nel De Officiis). Il nostro concetto di giustizia differisce da quello divino, che precipita nella misericordia, ovvero in un sentimento compassionevole e pieno di pietà per la nostra sventurata imperfezione; un’analisi divinamente virtuosa  può condurre ad esiti umanamente inaspettati, talvolta inaccettabili a chi è fermo  alla misura prodotta dalla logica della nostra misera prospettiva. È indicativa in proposito la parabola dei vignaioli, nella quale il padrone della vigna paga con lo stesso salario lavoratori che  hanno iniziato la loro opera in orari differenti, e quindi hanno lavorato per periodi diversi, chi  per poche ore, chi per intere giornate (Mt XX,  1 -16). In realtà il padrone della vigna (Dio) nonostante l’apparenza, è giusto, perché da ad ognuno quello che  aveva pattuito.  Si evidenziua inoltre nel racconto evangelico che non possiamo sondare il metro di giudizio di Dio, così lontano dal  nostro. Ciò che spinge alla protesta chi ha lavorato di più è un invidia malcelata dietro il un senso di giustiziainteso in senso  meccanicamente distributivo.  Il cristiano che è animato da un’etica formalistica sente di realizzare pienamente la sua missione quando il suo comportamento si articola nell’ambito di una liceità indicata dall'etica positiva, cioè da prescrizioni esplicite, rimanendo su un piano marginale l’adempimento della legge dell’amore e dell'altruismo. Ma Deus caritas est (Questo è anche il titolo della prima enciclica di Benedetto XVI). Le caratteristiche dei tempi attuali confinano la spiritualità e la riflessione in spazi alquanto ristretti, che  possono allontanare dall’etica di Cristo, spingendoci a privilegiare il meno impegnativo adempimento di quanto formalmente indicato. Le disposizioni cristiane tuttavia non sono afinalistiche, ma hanno uno scopo sostanziale in quanto  sono propedeutiche al nuovo ordine morale insito nel progetto di Cristo.  Ma, a prescindere dagli obiettivi concreti dell’amore cristiano, resta sempre più facile osservare norme piuttosto che occuparsi degli altri. Tornando al quesito iniziale, il povero di spirito, se individuato nell’essere limitato intellettivamente, segue passivamente nel suo comportamento un’etica del dovere. Osservare norme, anche farisaicamente e senza comprenderne la portata, è facile, e può farlo chiunque, perché non richiede un impegno mentale: è sufficiente solo avere un po’ di  buona volontà. Il povero di spirito, se al contrario e in senso positivo coincide con l’essere consapevole dei propri limiti creaturali, potrà essere individuato in chi, spinto dall’umiltà e dal desiderio di dare autenticità alle sue scelte  morali, aspira a tenere una condotta fondata su motivazioni sostanziali. Se è animato da una fede sincera che lo spinge verso l’amore per il prossimo, si preoccuperà soprattutto del bene degli altri. Credo che queste persone, realmente illuminate dalla Buona Novella, siano i poveri di spirito delle Beatitudini. ROBERTO RAPACCINI

1 commento:

Roberto Latini ha detto...

Che dire? Ogni pezzetto del tuo scritto è come deve essere. Finalmente un pò di spiritualità, visto che è ormai quasi un blog sulla sola arte.
In particolare mi ha colpito questa frase:"Non di rado paradossalmente questa condizione di superficiale e sistematico rifiuto della problematicità dell’esistenza genera un senso di convinta superiorità nei confronti di chi sa guardare più lontano"
Sky Robertace

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IN QUESTI ANNI ABBIAMO CORSO COSÌ VELOCEMENTE CHE DOBBIAMO ORA FERMARCI PERCHÈ LA NOSTRA ANIMA POSSA RAGGIUNGERCI

(Michael Ende)

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A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro, sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi.

(Carl Gustav Jung)