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In questi anni abbiamo corso così velocemente che dobbiamo ora fermarci perché la nostra anima possa raggiungerci. (Michael Ende) ---- A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro. Sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi. (Carl Gustav Jung)

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO:QUANDO LA BANDA PASSAVA...
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336. RECENSIONI di Sky Robertace Latini



 “JOURNEY TO INFINITY”    Soul Of  Steel   (Italy)   -   2013

Una band italiana al proprio esordio, che vuole emulare i finlandesi Sonata Arctica senza riuscirci, anche se questi ultimi nell’ultimo album “Stones grow her name”(2012) erano calati, 
ma non fino al punto di perdere un minimo di ispirazione. Invece queste “anime d’acciaio” (moniker non adatto per la loro musica non durissima), pur avendo tecnica strumentale difettano di personalità nel loro songwriting. Cercano di andare oltre il mero compitino e talvolta sembrano riuscirci, ma solo parzialmente. Dopo un intro sinfonico carino inizia la prima song piuttosto derivativa e poco incisiva, ma per fortuna vi sono pezzi più di carattere. “SHADOWS OF THE PAST” è un brano semplice che comunque risulta fresco e dinamico, cambiando ritmo almeno in tre modi diversi, dal tempo medio al sound soft soft e aumentando la velocità nel ritornello, ed è proprio il ritornello a caratterizzare il pezzo sebbene perda lì di epicità acquistando un aspetto più leggero ma efficace. La velocità rimane anche nella parte solista dove l’accento Power è prevalente. “NEVERLAND” è piuttosto orecchiabile, con una tastiera iniziale così anni ’80 da apparire vintage, e nonostante una certa puerilità si può ascoltare, anche perché il pezzo poi diventa interessante. La linea vocale morbida riesce a portare un certo pathos, sostenuta da un arrangiamento pulito, non aggressivo e però senza calare di tono, e anche la parte solista fluidamente interpretata da chitarra e tastiere non è male. “THE FALLEN ANGEL” è una ballata ben messa nonostante gruppi come questi, nel senso di non altamente professionali, cadano in questo tipo di pezzi. Invece la linea vocale e la doppia voce maschile-femminile riescono ad afferrare l’ascoltatore. Forse la composizione poteva svilupparsi un po’ più in profondità, ma il risultato è buono. “SECRET WORDS” è uno dei momenti più duri e tonici dell’album, fortuna che c’è, per alzare un po’ l’energia di un album altrimenti non abbastanza metallico. Un vero pezzo Power dalla giusta velocità. Bello il coro che si forma ad ogni fine frase. Rispetto al resto del disco è un po’ più scuro di atmosfera. Elegante la parte centrale strumentale che si calma un po’ in una liquidità cristallina. Volevo mettere tra i brani migliori anche la title-track e “Portrait of my last dream”, ma esse si alternano tra spunti interessanti e realizzazioni poco originali, così da non soddisfarmi pienamente.  Siamo di fronte ad un Power Metal un po’ acerbo, e la voce del cantante non aiuta nelle sue indecisioni e nella interpretazione talvolta poco sicura. Pare di risentire i cantanti heavy metal italiani con poca tecnica dei primi anni ’80. Altre volte mi pare che il cantato cada eccessivamente nella musica leggera,  e quindi si banalizzi.  Molto esaltanti invece in alcune tirate soliste che riescono a far alzare il livello qualitativo dell’opera, dove non si apprezzano mancanze, ma tali arrembaggi non sono sempre presenti.  SKY ROBERTACE LATINI

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“MOTHERLAND”   Pretty Maids (Danimarca)  -  2013

Questa band ormai storica, fu una delle prime che i paesi scandinavi sfornarono per dar loro un successo mondiale (insieme possiamo nominare Malmsteen (Svezia anno 1984);
Mercyful fate (Danimarca anno 1982); Europe (Svezia anno1983). I Pretty Maids esordirono nel 1984, io li vidi negli anni ’80 come gruppo spalla dei Deep Purple a Roma. Il loro stile mischiava il più leggero Street Metal col più quadrato metal dei Judas e della N.W.O.B.H.M., e col Power Metal, riuscendovi abilmente ed energicamente. Le variabili nel loro sound sono state sempre molteplici; è il motivo per cui è difficile relegarli nel solo genere Power, del quale però includono molte tracce. “MOTHER OF ALL LIES” possiede un intro quasi sinfonico e una linea melodica che ha stranamente qualcosa dei Beatles. Il sound è corposo e leggermente algido, e però è orecchiabile, soprattutto nel ritornello anche piuttosto sfacciatamente eccessivo in tal senso. Risulta alla fine anche epico come può essere epica l’atmosfera di “The Final Countdown” degli Europe. Una bella canzone con qualche ombra. “MOTHERLAND” è il vero PowerMetal a cui i Pretty Maids ci avevano abituato in passato. Il miglior pezzo dell’album. Velocità e raffinatezza per valorizzare il rock duro nel migliore dei modi. Ampiezza di feeling e pulizia compositiva in cui tutte le parti sono assemblate con maestria. “I SEE GHOSTS” possiede un ritmo cadenzato che sorregge un bell’arrangiamento alla Cheap Trick (per questo quindi molto beatlesiano). Però è un brano riuscito e di classe. Per quanto semplice e orecchiabile non è banale. “WHO WHAT WHERE WHEN WHY” è un brano che parte come se fosse duro e invece è commerciale, ma è costruito bene e col giusto piglio; una bella song. Il titolo gioca curiosamente con le “W”.  Altre tracce si rifanno più ai Def Leppard (“To fool a nation”; “Hooligan”) che a se stessi. Ci si trova di fronte al fatto che sembrano migliori i pezzi commerciali che quelli più duri, infatti questi ultimi talvolta rasentano la banalità. In più alcuni momenti compositivi rasentano l’AoR e l’Easy Listening (“Sad to see you suffer”; “Bullet for you”) di cui si farebbe volentieri a meno. Troppo poco per una band come loro, che per quanto mai ai vertici del metal, però non possono essere considerati fuori della storia di questo genere musicale.  Sempre interessante sentire il passaggio della voce rauca a quella pulita.  Sono rimasto un po’ deluso. Ho letto alcuni commenti che ne parlavano molto bene, ma nonostante siano dei miei beniamini non sono dello stesso avviso: in giro c’è di meglio. In tali recensioni si sottolineava l’epicità che traspirava da questo lavoro, ma invece non c’è, non bastano quattro enfatizzazioni tastieristiche per creare il carattere epico di un song-writing che va da tutt’altra parte. Purtoppo essere dei maestri non ha fatto fruttare bene questo disco (il tredicesimo in studio) in cui troppi pezzi sono una copia di un’anima che in passato ha brillato meglio.  SKY ROBERTACE LATINI

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“NEMESIS”   Stratovarius (Finlandia)   -   2013

Siamo al disco numero 15 (il primo “Fright night” uscì nel 1989). Una carriera di tutto rispetto senza mai cedere il passo. Li adoro. “ABANDON” è una PowerMetal song sinfonica,
fluida e chiara, con ritmica tenace e spirito frizzante. Un andamento corale. Assolo tra chitarra e tastiera a cascata di note, gettando gocce gelate sull’ascoltatore. “UNBREAKABLE” è un riuscitissimo pezzo orecchiabile. Ma è costruito con un carattere forte, e da questo punto di vista il pezzo ritmico chitarristico centrale è da sottolineare. La semplicità si lega alla dinamicità e presenta una buona personalità. “STAND MY GROUND” si infila veloce nelle orecchie, con una cadenza che quando rallenta porta però la forza della chitarra corposa o tagliente. Ritornello epico ma non banale. Il ritornello è estremamente legato alla musica classica (e al metal di Malmsteen). Forse la canzone migliore dell’album.  “CASTLES IN THE AIR” inizia soft con una cadenza da musica classica. In effetti il classicismo c’è tutto, sinfonismo compreso, permeando di liricità tutta la song. Lo stile, anche nella linea vocale, ricorda parecchio ancora lo svedese mito Malmsteen. E’, insieme alla title-track, il brano più serio dell’album. Qui, oltre al bel ritornello, fa mostra di sé un qualitativo schema solistico diviso tra chitarra, in un acido e graffiante sviluppo un po’ fuori dallo stile della band, e tastiera che fa tornare lo spirito classico. “DRAGONS” fa venire in mente certo Art rock degli anni ’70 con un ritornello che invece sarebbe stato benissimo in una sigla per cartone animato giapponese. Canzone allegra e spensierata, vive di tonica freschezza. Merita considerazione proprio per essere riuscita a colpire pur nella semplicità compositiva. “HUNTER” è un attacco Power duro e algido. Presenta epicità e maestosità senza esagerare. “IF THE STORY IS OVER” è un tipo di ballata che già gli Stratovarius avevano in passato reso con sensibilità. Anche qui c’è la classe sebbene non vi siano molte variazione sul tema. Ci si basa molto sull’atmosfera rarefatta del fischio o delle voci femminili che segue il tema di base e permea anche il ritornello corale. Dolcezza e pathos ben espressi. “NEMESIS” è un pezzo specificatamente Stratovarius, anch’esso Power Metal e, come al solito, bello. Un perfetto connubio tra raffinatezza e possenza. Ritmi che variano e riff che si infilano tra le voci e le linee melodiche. Si tratta del pezzo più variato di tutto il lavoro. “Halcyon days” è forse il pezzo meno interessante, anzi piuttosto povero. Il sinfonismo è presente anche qui come nella prima traccia. L’atmosfera gelida e lieve della parte iniziale si lega alle tastiere elettroniche che proseguono con alcuni guizzi verso il ritornello che cerca di essere accattivante. Anche il ponte mostra in primo piano l’elettronica snaturando purtroppo l’animo metal del pezzo e senza apparire IndustrialMetal. “Fantasy” appare piuttosto facile e lineare, ed è una chicca per i canticchiamenti spontanei. Sfiora l’AoR, il tono è leggero e il ritornello così ruffiano da afferrare l’ascoltatore in maniera automatica. Rimane però brano minore perché perde in personalità, e risulta leggermente scontato.  La voce pulita di Timo Kotipelto è magnifica. Si usano molto le partiture di campionamenti tastieristici accennati con insistenza qua e là, quasi sempre adatti, solo a volte stucchevoli.  Che dire? Che la band non mostra mai cali compositivi, ogni loro album rimane in alto. La stampa e gli addetti ai lavori hanno teso abbassare il tono sui loro dischi prodotti negli ultimi anni, mentre stavolta vi vedono una specie di ritorno qualitativo. Forse non amavano le tendenze Prog di certe composizioni, e infatti qui che quelle divagazioni sono solo accennate, i critici plaudono. Questo è un album più semplice, ma anche più dinamico e scoppiettante, in effetti ci si è basati di più sulla struttura di breve canzone. Il tutto è riuscito con scorrevolezza; l’esperienza riesce a valorizzare con la tecnica e l’arrangiamento anche i momenti compositivi meno originali.  Un ascolto che non stanca mai. Ma per me erano stupendi anche gli album precedenti a questo.  SKY ROBERTACE LATINI

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“THE MISTERY OF TIME”    Avantasia  (Germania)  -  2013

Ecco il ritorno del poliedrico Tobias, cantante ma anche personaggio che ci ha abituato alla sua voglia di esserci, sempre presente con le sue mille idee, componendo senza sosta. Qui si è
ottenuto davvero un risultato difficile da ottenere, nonostante la difficoltà a differenziare i suoi prodotti. I prodotti di cui parlo sono il progetto Avantasia e il suo gruppo Edguy i quali ormai si assomigliano come tipo di composizioni, tra loro avendo nello stile molti punti in comune. Certo agli Avantasia l’artista dona maggiore sontuosità e magia, mentre negli Edguy l’accento è più rock, ma la differenza è davvero poca. La vera diversità sta negli ospiti d’eccezione sempre voluti negli Avantasia, del resto questo progetto è sin dall’inizio nato con l’intento di essere espressivamente legato ad una generale compresenza di figure famose. Stavolta però si è stati ancora più bravi nella realizzazione; il risultato difficile da superare era proprio questo: riuscire ad alzare il livello e superare i vecchi lavori a marchio “Avantasia”. “THE WATCHMAKER’S DREAM” una fresca PowerMetal piuttosto teatrale, dinamica e con melodia azzeccattissima. Un basso talvolta in primo piano che sa dare tonicità. Uno sprint veloce ma non troppo, per il pezzo forse meglio riuscito. Tastiera  e chitarra soliste che rendono il tutto ancora più frizzante. Non mi piace il finale sfumato, vedevo giusto qualcosa di più netto. Qui ospite alla voce Joe LynnTurner presente anche in altri brani. “WHERE CLOCK HAND FREEZE” presenta un breve intro che è nettamente opposto alla velocità che poi caratterizza questa canzone, dove i rallentamenti servono a valorizzare la voce meravigliosa di Michael Kiske. Un ritornello soave dalla tenera melodia che fa venire i brividi. E’ proprio la linea vocale la padrona di questa composizione anche se la parte dell’assolo è bellissima. Grande momento. “SAVIOR IN THE CLOCKWORK”, dall’atmosfera più introspettiva, inizia con una epica soft stile colonna sonora leggermente sinfonica, per poi divenire di un bell’elettrico chitarristico molto spumeggiante che successivamente cede il passo ad una ritmica e una linea melodica morbide; il ritornello appare meno personale ma comunque efficace. Un brano lungo (quasi 11 minuti) che più che Power vive di verve PopHairMetal, nella sede di assolo il riff ricorda i Rainbow, e nel momento soffice acustico (dove è bellissima l’impretazione vocale di Biff dei Saxon) è quasi progressive. Insomma una mini-suite di ampio respiro. “INVOKE THE MACHINE” è un’altra traccia di classico PowerMetal col cantante Atkins dei Pretty Maids; sembra proprio un brano studiato per lui. Sfila veloce con variazioni di ritmo e di linea vocale sempre ben centrate. L’assolo si scatena dopo un cadenzato Hellowiano, è una lama tagliente che iperbolizza la song, emozione su emozione. “DWELLER IN A DREAM” ripresenta l’anima Power di Tobias, che in questo caso predilige una certa linearità piuttosto che inserire molte variazioni sul tema. Ma il risultato è perfettamente di qualità grazie anche alla solida capacità degli interpreti vocali (tra i quali ancora l’amato Kiske che nessuno riesce a superare). “THE GREAT MISTERY” è l’altra minisuite (dieci minuti) che fa il paio con “Savior in the clockwork”. Una ballata dal pathos pieno ed evocativo, dalla sinuosità raffinata. In realtà si accende anche un ponte centrale con anima Hard Rock stile Ronnie James Dio, grazie anche alla presenza del singer Turner (ex-Rainbow ed ex-Malmsteen), oltre che degli altri ospiti Byford (Saxon) e Kiske (ex-Helloween).  Poi però arriva una seconda parte che fa venire in mente i Queen, meno soft e più dinamico, anche se breve, infatti torna il pianoforte dove stavolta lo stile e la voce sono quelli di Meat Loaf, ed ecco immediatamente sopraggiungere la presenza sinfonica di tastiere corpose, prima di tornare al tema iniziale, epico e corale. Insomma tutti brevi inserti a modulare la dinamicità della composizione, ma così bene incastonati da costruire un meraviglioso affresco. Come finire in modo maestoso non solo il brano, ma il disco (è infatti l’ultima traccia). Il basso è spesso un personaggio centrale degli arrangiamenti che sono comunque globalmente veramente curati e ineccepibili. Ma è lo spirito artistico quello che qui si esprime ad ottimi livelli, molto più che negli ultimi tre lavori prima di questo. Ci sono alcune banalità come la breve ballata “Sleepwalking” cantata a due voci (maschile e femminile, dove quella femminile è di Cloudy yang), ma sennò viene offerta quasi ovunque l’interpretazione ricercata per un Power oramai d’elite che in questo disco usa anche del sinfonismo utilizzando una vera e propria orchestra. Tobias sa come stimolare i punti trigger sonori dell’ascoltatore. SKY ROBERTACE LATINI

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“WAR OF AGES”     Serenity (Austria)  -  2013

Collocherei questa band nella categoria del Power Metal con sfaccettature sinfoniche. Quarto album dal 2007. “SHINING OASIS” è un brano dall’atmosfera orientaleggiante e piuttosto evocativa. Alla voce maschile se ne associa anche una femminile
per un breve momento. Middle-time con ottimo arrangiamento, ma un assolo più elaborato sarebbe stato necessario. “AGE OF GLORY” è la traccia più bella del disco. Si apre con un certo sinfonismo da colonna sonora molto avvolgente e con una maestosità che sale di tono col procedere dell’intro. Poi si calma con l’inizio del cantato; ma rimane una composizione dinamica con vari cambi di ritmo. Pur coi suoni limati è abbastanza metal e lascia trasparire un’anima epica. Anche qui appare per poco una voce femminile ma è maggiormente sfruttata e alza di molto il pathos del brano. Una piccola grande perla questo pezzo, davvero riuscito.  “THE MATRICIDE” è una song frizzantina. Scorre fluidamente con un bel 4/4 tonico e con una verve ariosa. Al centro la traccia si scurisce ma per contrapposizione la voce femminile s’insinua a schiarire il feeling per mantenerlo luminoso.  “SYMPHONY FOR THE QUIET” sembra voler essere soft, ma poi si scatena con un bel ritmo Power che le tastiere pompano enfaticamente. Il cantato è comunque realmente calmo ed è accompagnato da una chitarra ritmica acustica. Il gioco tra sofficità e velocità prosegue per tutto il brano con l’ottimo effetto di dare contemporaneamnete forza e raffinatezza. Assolo chitarristico classicheggiante per un pezzo che deve molto alla musica sinfonica. Tra i brani minori che mi piacciono metto “The art of War” che non è male, ma non ha la personalità dei brani già citati. Inutilissima invece la versione del brano dei Queen “Love of my life” che non aggiunge nulla all’originale; assolutamente senza senso cercare di imitare un brano cantato dall’irrangiungibile Freddy Mercury, avrebbe dato miglior risultato stravolgerla. La voce pulita del cantante Georg Neuhauser e la tipologia di pulizia sonora avvicinano questa band ai più blasonati finlandesi Sonata Arctica. Questo appare un lavoro migliore del precedente “Death & Legacy” del 2011, ma ancora appare come  troppo derivativo per arrivare a far porre i Serenity in una postazione più alta tra le band attuali. Per ciò che concerne la produzione, essa è perfetta e tutto è al posto giusto: hanno imparato bene la lezione anche se a volte è tutto troppo plastificato. SKY ROBERTACE LATINI

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IN QUESTI ANNI ABBIAMO CORSO COSÌ VELOCEMENTE CHE DOBBIAMO ORA FERMARCI PERCHÈ LA NOSTRA ANIMA POSSA RAGGIUNGERCI

(Michael Ende)

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(Carl Gustav Jung)