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In questi anni abbiamo corso così velocemente che dobbiamo ora fermarci perché la nostra anima possa raggiungerci. (Michael Ende) ---- A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro. Sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi. (Carl Gustav Jung)

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO:QUANDO LA BANDA PASSAVA...
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349. RECENSIONI di Sky Robertace Latini



“ARS MUSIC”    Dark Moor (Spagna) – 2013

La band dopo 14 anni di carriera molto enfatica ha prodotto stavolta un lavoro facilmente fruibile senza comunque perdere carisma e raffinatezza, sebbene diminuiscano potenza e magniloquenza. “FIRST LANCE OF SPAIN” scivola via con piacere; limpida e lineare, con un lieve sinfonismo, prediligendo però l’orecchiabilità. La parte centrale diventa più enfatica e l’assolo si stampa nettamente nel cervello con nitidezza, senza cercare alcun virtuosismo, ma lasciando che si sviluppi con melodica verve. “THE ROAD AGAIN” è una PowerMetal song che però è anche legata all’AoR per la sua melodicissima espressività. E’ piuttosto commerciale mantenedosi però nella scia energica del metal. E’ stata scelta per un video in cui si inserisce la figura di una persona che diventa paraplegica, ma che non vuole arrendersi (alla fine sempre i soliti messaggi del “dai che ce la fai” ma il video è carino). “THE CITY OF PEACE” corre su un 4/4 veloce su cui si staglia una linea vocale semplice facilmente assimilabile. Assolo chitarristico molto da musica classica, ma s’inserisce anche quello di basso molto d’effetto. “LIVING IN A NIGHTMARE” è il brano che ricorda meglio la vecchia discografia supersinfonica. Sembrano per altro rifarsi agli italiani Rhapsody. Il pezzo è potente, varia i ritmi e l’interpretazione vocale, di grande maestria, risulta multisfaccetata. Velocità e durezza metalliche perfettamente assemblate insieme  al feeling da musica classica. “SAINT JAMES’ WAY” è un pezzo AoR che contiene la morbidezza del pianoforte (con un’anima anche Pop Metal alla Europe), associata all’epicità sinfonica.  “This is my way” va nominata perché esce dagli abituali canoni della band anche se sembra naturale per loro arrivare a comporre tipi di brano così leggeri e orecchiabili. Un pezzo che può inserirsi nel genere dell’AoR. Brano minore perché perde di forza a causa di un cantato che diventa musica leggera, anche se si rifà molto ai tipi di song a cui i Queen ci hanno abituato nella loro fulgida carriera (assolo di chitarra compreso). Eppure se di musica leggera si tratta, é riuscita appieno e con una certa classe pure. Nella loro corposa discografia di otto album, i Dark Moor forse avevano raggiunto il quarto posto di valore fra le band sinfoniche mondiali di metal. Primi i tre gruppi di alto livello che sono Nightwish/Rhapsody Of Fire/Epica, ma subito dopo ci sono questi spagnoli, che però hanno cercato, in tal nono episodio, la strada contraria, cioè meno complessa (se pensiamo all’ultimo degli Epica “”Requiem for the indifferent”, ci rendiamo conto della grande differenza). Come i D.Moor ci hanno già provato gli italiani Elvenking con “Red silent tides” (2010) e gli olandesi Whitin Temptation con “The Unforgivin’”(2011). Diciamo che non è facile buttarsi nella commercialità rimanendo alti di livello artistico. I D.Moor ci riescono a metà, peggio degli Elvenking (che furono perfetti nella loro nuova veste, ma già abbandonata con il disco successivo), e meglio dei W.Temptation che a differenza dei Dark M. persero, commercializzandosi, la scintilla. Spero comunque che i Dark Moor tornino alla loro vecchia veste che li vedeva ergersi a grandi icone sinfoniche, lasciando perdere questa ricerca di semplicità che li premia solo parzialmente.

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“PERILS OF THE DEEP BLUE”      Sirenia (Norvegia)  -  2013

Sicuramente questo nuovo lavoro della band supera il valore di quello del 2011 (“Enigma of life”). Il guaio di questa opera è che si spezza perfettamente in due parti: una splendida e piena di personalità, l’altra mediocre o comunque appiattita su schemi comuni e che danno l’idea del già sentito. “DUCERE ME IN LUCEM” è l’intro che apre l’album, cioè la prima traccia. Di solito gli intro mi sembrano pezzi inutili quando rimangono a sè stanti. Stavolta vale di per se stesso in un’atmosfera che poteva anche durare di più e diventare brano vero e proprio (del resto già dura 3 minuti e mezzo). Una pianistica ballata rarefatta con voce soavissima; un successivo momento lirico-corale; il tutto attraverso una realizzazione molto celtica. “SEVEN WIDOWS WEEP” è il brano collegato all’intro ed è in linea con esso essendo il pezzo sinfonicamente più maestoso. Una minisuite di circa 6 minuti e mezzo dove il riff asciutto e metallico si associa ad una interpretazione vocale femminile piuttosto energica ed una voce maschile roca simil-growl che ne potenzia la durezza. Il ponte centrale pianoforte-voce femminile inserisce un momento soft che incrementa l’ariosità di una atmosfera già di ampio respiro, ma il pianoforte diventa anche un strumento che si mette in primo piano nell’incrementare la velocità. Il miglior pezzo del disco. “MY DESTINY COMING TO PASS” è un brano più fluido e dal ritmo quasi ballabile che però non tralascia i toni forti del riffing chitarristico. Voce femminile di carattere, dove la dolcezza si esprime in contrapposizione alla dinamicità insita nella struttura. Ritornello di grande impatto e pathos. “DITT ENDELIKT” è una canzone commerciale però molto accattivante e ben riuscita. Ricorda band scandinave più conosciute tipo Rasmus. La voce femminile appare solo nel parlato in portoghese. Invece il cantato è maschile e limpido. Non si tratta di Symphonic, bensì di Pop-Metal perfettamente riuscito. “COLD CARESS” rialza i tono epici e sinfonici, con la forza che i cori e la chitarra distorta possono dare. Anche le tastiere prediligono atteggiameni scuri, e in più momenti aumentano la dinamicità della struttura. La voce femminile poi qui prende una modalità più acuta e tagliente, ed è più interessante nella parte della strofa che nel ritornello. Il ponte soft non è innovativo ma è ben inserito nel contesto e precede la parte più pesante della song, in un middle-time in cui la voce maschile partecipa all’indurimento sonoro. “PROFOUND SCARS” è un altro pezzo duro. Tappeti tastieristici ad ammorbidire ma il groove fa rimanere il tutto ben solido. In più brani appare anche la voce maschile di Morten Veland, gutturale ma mai davvero growl. Mi piace anche se in due episodi mi sembra una inutile apparizione. La voce di Alyn riesce a farsi più matura che nel disco del 2010, e nelle tracce migliori cerca di creare linee vocali che escano dalla banalità. I brani minori non sono male, ma rispetto ai migliori il calo è considerevole, se tutto l’album fosse stato all’altezza dei pezzi migliori, ne sarebbe risultato un capolavoro (perché non sempre i brani migliori di tanti dischi sono così migliori come quelli di questo).

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“THE BONDING”      Edenbridge (Austria)   -   2013

Rispetto all’album “Solitaire” del 2010, qui tutta l’atmosfera si fa ancora più rarefatta. Quando il sinfonismo sembra stia per aver concluso il suo percorso, ecco che per l’ennesima volta bisogna ricredersi. Rimanendo nella semplicità questa band è riuscita ad aggiungere qualcosa di sensato e significativo. Ben due uscite austriache per il metal quest’anno, l’altra era di Power Metal, dei Serenity; ma gli Edenbridge appiono maggiormente ispirati. “MYSTIC RIVER” inizia l’album con una verve più rock nonostante gli inserti sinfonici. La voce melodiosa e allungata spezza il riffing frizzante, donando un contrasto efficace. Separate le parti iniziale e finale, sulla seconda aumenta il sinfonismo, e dopo un momento rarefatto c’è un bel contesto solistico. Uno dei pezzi più dinamici dell’album (traccia di circa 7 minuti). “THE INVISIBLE FORCE” è uno dei momenti più metal ma anche molto classicheggianti. La voce si fa meno angelica, ma rimane affascinante. “INTO A SEA OF SOULS” è una ballata che si allaccia a certo goticismo metal. Algidamente rimane nell’alveo sonoro del sogno, illuminandosi di prog nell’assolo finale. “FAR OUT OF REACH” esprime un cantato diverso da quello usato durante tutto l’album. E’ infatti meno diluito il modo di cantare, e si lega a certo pop-rock di Keith Bush o Tori Amos. Ma poi ci pensa l’aggiunta di sinfonismo a tornare nel solco tipico della band. Anche qui però troviamo l’incedere prog nella parte solista. Una ballata semiacustica ben curata e appassionata. Forse è la traccia migliore del lavoro insieme alla Titletrack. “THE BONDING” è una suite di quasi 15 minuti e mezzo e chiude con maestosità l’album. Il sinfonismo è totale (enfatizzato anche da molti passaggi corali), ma usa il suo lato più oscuro, in una ambientazione glaciale iniziale dove chitarra acustica e voce danno invece un po’ di dolcezza. Momenti da ballata e distorsioni metal si alternano in una variegata multisfaccettatura; ad ampliare il paesaggio sonoro il perfetto inserto di voce maschile. Tra le variazioni sul tema un  suono da koto giapponese (strumento a corda) che segue una linea melodica da estremo oriente e che imbastisce una trama magica molto aerea, dall’anima progressive. Composizione splendida. C’è anche una versione solo strumentale del disco, ed io l’ho ascoltata prima di quella cantata. Devo dire che funziona, anzi, la linea vocale tende a soffocare certi passaggi sonori. La voce ha quasi sempre una caratteristica di linearità che non segue pedissequamente la ritmicità del brano, così che e il suo cantato dona rarefattezza e soavità. La voce di Sabine Edelsbacher non contiene la liricità di una Tarja o di Simone degli Epica, ma nella sua chiarezza timbrica appare angelica. L’orecchiabilità e una certa leggerezza fanno sconfinare la band verso l’AoR in modo tale che sembra di poter parlare di Symphonic AoR. Altre volte la band si allontana dal mondo metal, per esempio nel brano minore ma buono, ”Death is not the end”, dove troviamo più il pop di certo cantautorato femminile americano che il rock. La qualità però rimane alta, grazie a tutta una serie di soluzioni stilistiche e per le linee cantate di ampio respiro, in cui si affaccia di quando in quando il progressive rock; e vogliamo metterci anche gli Abba più fluidi? (Il cantato finale di “The Bonding” li accenna). Forse è proprio il non essere rimasti prigionieri di un unico ambito a dare valore aggiuntivo a questo lavoro. Complimenti.

Sky Robertace Latini



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IN QUESTI ANNI ABBIAMO CORSO COSÌ VELOCEMENTE CHE DOBBIAMO ORA FERMARCI PERCHÈ LA NOSTRA ANIMA POSSA RAGGIUNGERCI

(Michael Ende)

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A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro, sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi.

(Carl Gustav Jung)