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In questi anni abbiamo corso così velocemente che dobbiamo ora fermarci perché la nostra anima possa raggiungerci. (Michael Ende) ---- A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro. Sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi. (Carl Gustav Jung)

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO:QUANDO LA BANDA PASSAVA...
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391. RECENSIONI di Sky Robertace Latini



“ALL IS ONE”   Orphaned Land (Israele)   -   2013
Album n. 7 per una band metal progressive di alto livello che sa costruire raffinatezze senza perdere la propria durezza. “ALL IS ONE” uno splendido brano pieno di pathos ed enfasi. Riff netto e tonico che sostiene una linea vocale chiara e solare, con cori femminili sinfonicamente pensati. Bellissimo assolo del chitarrista Yossi Sassi. “THE SIMPLE MAN” contiene tutto il fascino di un mondo sinuoso e raffinato costruito molto con strumenti orientali. “BROTHER” gioca con la dolcezza di violini delicati sopra una chitarra ritmica acustica. La voce raccolta possiede un timbro ed uno stile che ricorda Anderson dei Jetrho Tull. Un folk rock atmosferico contenente senso di malinconia.  “OUR OWN MESSIAH” inizia con degli “OOOh ooh” orientaleggianti, ma poi si tramuta in uno dei pezzi più metal dell’album. Non c’è velocità né deflagrazioni, ma un dinamico incedere tra riff e chitarre intrecciate; mentre la voce esegue un cantato evocativo. Al centro si trova una parte algida dove la batteria fa i suoi piccoli giochi percussivi prima dell’assolo di chitarra. “CHILDREN” è una piccola perla soave. Una ballata tutta incentrata sulla voce che è accompagnata da una strumentazione che si esprime con grande classe e senso evocatico. L’assolo alza i toni di una canzone altrimenti molto intimista. Il finale è un crescendo lirico ed epico.  Il cantante Kobi Farhi:  “Questo è l’album in cui abbiamo voluto rendere più chiari diversi aspetti del messaggio che cerchiamo di portare avanti da tantissimi anni. I nostri album portano un messaggio ben preciso. Questo disco è diretto ed immediato per riuscire a dire più cose a più persone. Le problematiche di cui trattano i nostri album non sono piccole liti tra vicini di casa, ma una delle più sanguinose guerre che esistano da centinaia di anni. Credo che ognuno debba sentirsi libero senza il rischio di essere condannato e ucciso per questo. Mi addolora che una copertina come la nostra rischi di diventare un motivo di scandalo od orrore quando dovrebbe essere un esempio di pace e un invito a tendersi l’un l’altro la mano. Quello che abbiamo cercato di spiegare è la comunanza di fondo che esiste tra le tre grandi religioni rappresentate nella cover: molta gente che si scontra per motivi religiosi nemmeno sa le origini del proprio credo. Non abbiamo registrato un album da “peace & love” anni ’60 pieno di testi inneggianti all’amore fraterno, abbiamo voluto mostrare le brutture di una terra che sarebbe una delle più belle del mondo e invece è continuamente bersagliata da guerre intestine. Alcuni dei testi scritti per “All for one”  sono bagnati di lacrime mentre li scrivevo.  Una volta ero convinto che le nuove generazioni avrebbero piano piano spazzato via tutto l’odio che i genitori avevano tramandato di padre in figlio, ma vedo che i cambiamenti sono ancora troppo lenti. Dei segnali ci sono, come gli ospedali di guerra dove lavorano sia israeliani che palestinesi, e dove vengono curati tutti senza diviosioni di sorta. Siamo felici di saper che tra i nostri fan non ci sia alcun tipo di barriera. Forse tecnicamente abbiamo fatto degli album migliori, ma qui non si tratta di sfoggiare delle qualità, si tratta di vita vissuta”. L’ultimo album, “The never ending way of Orwarrior” del 2010, aveva caratteristiche orientali diluite in una veste occidentale; usando i suoni orientaleggianti comuni a tanto rock da tanti anni. Qui invece la band ha voluto fortemente sottolineare la propria appartenenza etnico-culturale. Possiamo parlare di musica orientale metallizzata e non viceversa. E’ un magico viaggio nel medio-oriente portato da suoni morbidi e duri contemporaneamente. Gli aaaah aah e gli ooooh oooh, vocalizzi molto mediorientali, si sprecano senza mai stufare ma certo enfatizzano in eccesso questo rifarsi alla propria cultura. In verità l’album precedente appare migliore poiché qui ci si perde, in alcuni brani minori, nei meandri di una sonorità orientaleggiante fine a se stessa che appare più didascalica che espressione artistica, nonostante dal punto di vista dei testi l’autore affermi di averci messo tutto se stesso.  La copertina porta i simboli intersecati delle tre religioni monoteiste legate fre loro culturalmente: la stella di Davide; la croce cristiana e la mezzaluna islamica. Da qui alcune polemiche accesesi in patria. Sky Robertace Latini

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“IV”  Blackfield  (Israele)  -  2013
Un album elegante, dai suoni soffusi e di quasi tenerezza tra
note vaporose e atmosferiche stile Beatles e persino David Bowie degli inizi (“Firefly”). Si può percepire una attitudine Progressive senza che lo diventi mai (del resto il cantante/chitarrista inglese dei prog-rock Porcupine Tree, Steven Wilson, è il suo stretto collaboratore nei dischi di questo musicista israeliano). Si evince altresì un cantautorato di matrice anglo-americana, sviluppato con molta poesia sonora. Difficile non lasciarsi cullare da una musica così dolce, ma non crediate che sia di bassa qualità. Il songwriting è intelligente e sentito. Ricco di sonorità, l’opera mantiene però una propria unità in brani brevi ma intensi (il brano più lungo, “Jupiter”, dura 3 minuti e 46 secondi, mentre si arriva ad una brevità di 1.26 con la finale “After the rain”).  “PILLS” apre l’album e lo fa con il piglio più Progressive che si può trovare in questo lavoro. Ricorda un po’ le cose dei Pink Floyd con una voce introspettiva sopra un tappeto acustico e i cori suadenti. Ritmo molto lento. Una composizione leggera ma dal forte carattere e dal pathos innegabile. La traccia più bella e di ampio respiro; manca un assolo che la impreziosisca (me lo sarei aspettato).  “SPRINGTIME” sa molto di Beatles per songwriting e per arrangiamento. Una luce di serenità, senza alcunchè di misterioso. Ariosa.  “XRAY” è calma e rotonda. Più che i Beatles ricorda Paul McCartney da solo, con la sofficità rurale che lo contraddistingueva.  “KISSED BY THE DEVIL” si sviluppa con modalità leggermente elettriche ponendo il proprio feeleing tra Beatles e Oasis, in una verve che risulta essere la maggiormente rock del lotto. Si alterna tra una certa durezza e momenti più morbidi. Un ottimo episodio accompagnato da una chitarra liquida.  Tutto l’album supera di poco la mezz’oretta, riducendosi al minimo possibile così come succedeva negli anni ’70. Vari pezzi sono senza batteria, costruiti soft; ma anche dove la batteria c’è, sia ben cadenzata (per esempio nella popsong “Sense of insanity”), sia rallentata (per esempio in “Jupiter”), non c’è mai durezza.  Non siamo ad altezze artistiche stratosferiche; tutto suona molto semplice ed immediato. Possiamo però amare il fatto che il risultato sia lontano dalla banalità. Avin Geffen usa sintetizzatori e non elabora virtuosismi (assenti gli assoli) riuscendo a non plastificare le sonorità, eccetto forse che in “After the rain” che è anche l’unico pezzo brutto.  Avin Geffen:   “C’è una malinconia tutta particolare che può provenire solo dal mio paese, abituato da sempre a convivere con la guerra e con il terrore. Penso che nelle melodie emerga un sapore del tutto orientale. La religione per me è un dramma. Da tempo la gioventù ha smesso di credere in un Dio che porta morte e distruzione. Il numero degli atei come me è in costante crescita. Vivo in Israele e mi sono abituato a vedere l’instabilità politica e sociale. Prendo tutto con filosofia ma non con distacco. Ho dovuto imparare sulla mia pelle a sdrammatizzare ed è per questo che le mie canzoni hanno sempre un tono agrodolce. Così è la vita, ci sono momenti tristi e altri più felici e bisogna saper convivere con entrambi allo stesso modo”.  Sky Robertace Latini



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IN QUESTI ANNI ABBIAMO CORSO COSÌ VELOCEMENTE CHE DOBBIAMO ORA FERMARCI PERCHÈ LA NOSTRA ANIMA POSSA RAGGIUNGERCI

(Michael Ende)

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A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro, sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi.

(Carl Gustav Jung)