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In questi anni abbiamo corso così velocemente che dobbiamo ora fermarci perché la nostra anima possa raggiungerci. (Michael Ende) ---- A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro. Sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi. (Carl Gustav Jung)

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO:QUANDO LA BANDA PASSAVA...
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457. VIAGGIO NELLA MIA VITA-Appunti disordinati per un 'de profundis' (2014) di Roberto Rapaccini - Recensione di Sky Robertace Latini



Terza opera che lascia momentaneamente da parte tematiche strettamente d’attualità, per tessere un “testamento spirituale anticipato”, come lo chiama lui. Questo è uno di quei libri che va attraversato senza cadere nella tentazione di dargli un giudizio morale mentre lo si legge. Le considerazioni si possono fare in seguito, le conclusioni si possono trarre dopo, riflettendoci; mentre invece se si è in questa lettura è più sensato usare l’empatia. Un atteggiamento di ascolto. Ora io, dopo aver lasciato decantare, provo a buttare giù appunto quelle riflessioni che risuonano in me, come in ognuno, secondo il proprio carattere, i propri valori e il proprio modo d’essere. L’ oggettività è una mera illusione; tanto più che qui parlo di una persona che conosco e con cui mantengo una certa umana relazione che, per quanto parziale, è piuttosto epidermica. Già all’inizio, frasi come “La mia vita è innaturale…” o “…per me l’esistenza si è fermata prima del previsto”, mi avrebbero acceso impulsi di ribattuta. Invece, sempre all’inizio, un passo mi ha frenato, come a calmare i miei bollenti spiriti critici, per darmi la possibilità così di inabissarmi nelle sensazioni di Roberto Rapaccini. Il passo è stato questo, e fortuna che è stato scritto presto, alla quarta pagina della premessa: “…in alcuni inaspettati frangenti si è investiti di un misterioso calore  e si è inebriati di un’inattesa emozione…siamo spesso ostaggi di conturbanti rimpianti”. Non so se i lettori sono accomunati dall’effetto che fanno queste parole, le quali sottintendono grande passione per la vita, nonostante vissuta dall’autore come “un distacco dalla vita”. Forse questa passione non può attivarsi come vuole Rapaccini, pure esiste e lo si sente; è tarpata ma accesa, come una brace sotto la cenere. Belle e poetiche sono le piccole descrizioni, quelle che scrutano il tempo, guardano l’ambiente e i colori, respirano i movimenti. Sarei tentato di nominarne alcune, ma è bene che le leggiate lì dove sono poste, in un discorso continuativo che rende concreto lo spirito del momento. Davvero c’è poesia; attenzione a non minimizzare questa presenza corposa. L’ascolto musicale e concettuale di frasi sparse qua e là dà un quadro esplicitamente artistico allo scritto. Naturalmente saltano fuori concetti e parole che fanno parte della sua cultura e del suo vissuto anche lavorativo. C’è un atteggiamento anche analitico-tecnico, che si esprime con le note a piè di pagina. Ma nella prima metà prevale l’artista, che come costruiva l’arte figurativa, senza timidezze costruisce quella letteraria. Dov’è che vorrei controbattere? Su frasi tipo “…l’oggettiva indifferenza di quello che ho intorno…” e “…tutto si ripete indipendente da me…”, per ricordargli che la stessa sensazione spesso è percepita anche da chi non è caduto in patologie; nella sua grandezza lo ha scritto benissimo Leopardi. Ma meglio che mi fermo qui, perché Roberto questo lo sa bene, nulla devo dirgli. Preferisco continuare a osservare il suo scritto con un certo pathos, senza che la tentazione di cui sopra mi afferri troppo forte.  Vivere questa parte di lettura è stato come gustare emozioni altrui, ma anche un po’ soffrire, poiché gli eventi, pur con leggiadria raccontati, sono di severa condizione. Roberto lo dice chiaramente, e ripete più volte cosa abbia significato per lui e cosa significhi ancor oggi; ma il suo moto descrittivo è di chi in qualche modo ha rielaborato, e sembra alleggerire il tema. Forse conserva ancora quella “immatura e infantile incoscienza” di cui parla. In verità questa rielaborazione sembra ancora in atto, non avendo superato la sofferenza che porta, ma è concentrata a non essere un semplice ruminamento, bensì essere la voglia di un altro orizzonte. Ad un certo punto arriva il titolo “Il cielo sopra Berlino”, e da qui entrano in scena capitoli tecnici con molte citazioni, dove il racconto di sé si trasforma in un luogo in cui cercare il senso. Se da un lato questo momento fa capire cosa cerchi la persona, dall’altro esprime una disillusione a mente fredda. Dal nono al diciotto la trattazione si alza su livelli più “alti” tra filosofia, fede e arte. E’ una continua altalena tra l’oggettivabile e il soggettivo (esplicitamente il capitolo quindicesimo parla del libero arbitrio, con la dicotomia tra “determinismo meccanicistico” e “contributo della volontà”) senza poterne estrarre una conclusione se non lasciandosi carpire dalla fede. Ma colpisce come proprio qui in mezzo alla analiticità spinta, sia inserito il capitolo “Un concerto…” (undicesimo), di appena due paginette, che di colpo stempera la seriosità in una dolcezza relazionale, l’amore sponsale, mediato da musica in sede live, concerto goduto insieme. Non sono più le parole di Roberto, ma quelle della moglie Cristina. Perché proprio qui? Perché non una collocazione iniziale del libro, nella zona che pareva adibita al lato più sentimentale? Forse va letta l’ultima frase del capitolo appena precedente: “L’opzione nei confronti del bene invece può consistere solo nella docilità di farsi guidare”. Una evidenziazione della scelta fra il bene e il male, e questa considerazione del bene fa considerare ciò che è amore; ecco allora il capitolo successivo disegnare con un ricordo, il bene dell’amore coniugale, che è molto più che sentimentalismo: è una realtà concretamente relazionale. Il ricordo si prolunga come presenza contemporanea di una storia di coppia che continua; non è passato o futuro, ma presente. Sottolineatura data dalla poesia della Merini messa all’inizio del capitolo, ma anche dalla frase finale dello stesso in cui Cristina ancora indulge, il giorno dopo, nella stessa azione della sera prima, come se il presente fosse un unico lungo momento ininterrotto che ingloba gli altri due tempi. Come a dire che tutto il bene è questo che si costruisce tra due persone, unico ambito in cui accettare il dolore. La ricchezza interiore potenziata da una ricchezza esperienziale, hanno creato un Sig. Rapaccini di tal fatta; un umbro che vive nella natura statica di Piediluco (TR), dopo esser vissuto nel caos dinamico dei grandi eventi. Lui stesso dice di essere vissuto “in tensione come una freccia sull’arco” e la sua pastosa esperienza (scoccata) gli ha reso possibile scrivere questa breve opera che offre una completezza integrata tra pathos e ragione. In conclusione non si tratta di un racconto ma di una riflessione sulla vita in generale, anche se parte dalla sua; una voglia di far parte di una realtà più grande, anche nella umile piccolezza. Se egli non avesse avuto questo duro destino, io non lo avrei conosciuto, tanto meglio per lui; purtroppo però è successo, tanto meglio per me. Non sono cinico, solo contento di aver avuto questo privilegio.   SKY ROBERTACE LATINI

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IN QUESTI ANNI ABBIAMO CORSO COSÌ VELOCEMENTE CHE DOBBIAMO ORA FERMARCI PERCHÈ LA NOSTRA ANIMA POSSA RAGGIUNGERCI

(Michael Ende)

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A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro, sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi.

(Carl Gustav Jung)