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In questi anni abbiamo corso così velocemente che dobbiamo ora fermarci perché la nostra anima possa raggiungerci. (Michael Ende) ---- A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro. Sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi. (Carl Gustav Jung)

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO:QUANDO LA BANDA PASSAVA...
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478. IL VIAGGIATORE FANTASMA (2014) - LIBRO DI NEIL PEART di Sky Robertace Latini


E’ il racconto di “Un anno in moto per ritrovare la vita”, come cita il sottotitolo. Una vita smontata da una duplice disgrazia che andava rimontata. Muore una figlia di 19 anni per incidente automobilistico (1997). Dopo appena dieci mesi muore la moglie di tumore. E’ la storia drammatica di un personaggio della musica, e precisamente del batterista famoso degli storici Rush, gruppo di Progressive Hard Rock canadese, in giro dal 1974 con 19 album da studio alle spalle. Neil Peart non è solo un drummer, ha all’attivo una attitudine letteraria, che svolge come scrittore di testi della propria band oltre ad aver pubblicato altri libri (prima e dopo di questo).Due moto vengono cavalcate per questa avventura, entrambe BMW. Cade, ricade. Si ferma da amici, affronta la pioggia e il fango, viene fermato dalla polizia, e scrive. Si, scrive un diario, e anche lettere all’amico finito in prigione, compagno di motociclettate in passato. Missive che gli spedisce da varie parti dell’America (Canada; USA; Messico), ed esprimendogli la fantasia di viaggiare con lui nei posti dove va. Tutto materiale utile, dopo, per questo libro. Ma anche legge vari romanzi, tra cui Jack London, in cui si immedesima. In questo scritto, la sua figura di musicista appare non come punto centrale di se stesso, ma come sottolineatura di certi momenti vissuti lungo il viaggio. Quando la descrive, spesso perché la sente da qualche parte, si inserisce fuggevolmente nel racconto, come sfumatura di istanti emozionali. Eppure la parola RUSH, cioè il moniker della propria band, la scrive sempre tutta al maiuscolo. E comunque c’è anche una piccola parte che riguarda la sua professione di batterista, quando dopo due anni di astinenza ritorna a suonare, anche se per puro piacere, vivendola come una prova di cui non sa quale sarà il risultato emotivo: “Era ormai tempo di un’azione radicale, di prendere misure disperate, e avevo un ultimo rifugio da esplorare: la batteria”. E gli accenni alla musica prendono forma in differenti modalità; per un appassionato dei Rush che legge questa opera, cioè uno come me, c’è sempre una tensione verso il lato musicale di Peart, che in qualche modo viene soddisfatto, anche se non appieno. Per esempio c’è l’ascolto della musica nei posti dove viene di volta in volta a trovarsi, come in Messico, la cui riflessione è interessante; lì incappa in complessini o nelle trasmissioni radio che mandano si Madonna e il pop targato USA, ma per la maggior parte si tratta di sound locale: “Il resto della musica che si sentiva, comunque, era musica messicana, in spagnolo, un’altra prova  della forza della loro eccellente cultura”. Cioè a dire che la musica è l’espressione diretta della forza di una cultura, per Peart più quella che gira nell’aria è autoctona, più significa che quella cultura sta reggendo. C’è poi il lato psicologico della musica che vive nell’autore del libro stesso, usata per descrivere idee e sensazioni, quella canticchiata durante la guida o in situazioni d’osservazione. E non è mai Hard Rock (il genere suonato dai Rush), ma  spesso è Frank Sinatra. E la musica è anche nei sottotitoli dei capitoli, in cui viene scritta ogni volta la frase di una song dei Rush come riflessione, e quella che cito qui è quella del brano “Everyday Glory” del 1993: “Nonostante sappiamo che il tempo ha le ali, siamo noi quelli che devono volare”; bella frase che racconta come la fatica sia sempre dell’essere umano. Altro concetto musicale è interno alla riflessione su ciò che sono stati le gang di motociclisti “Hell’s Angels”; Peart è in accordo con lo scrittore Hunter S.Thompson che li considera non un residuo del passato legato al romanticismo di Cowboy o degli ultimi fuorilegge, ma i precursori del punk. E infine il paragone della vita con la musica in quanto viaggio: “Modalità JAZZ. Improvviso, costruisco il percorso mentre proseguo, ma ancor di più reagisco agli altri musicisti che sono il tempo, le strade e il traffico, loro sono la mia sezione ritmica. Bisogna imparare a improvvisare invece di suonare una parte già scritta, fa parte del progetto di farsene una ragione”. Per adattarsi alle situazioni bisogna quindi essere pronti a reagire al momento, giorno per giorno. Ma cose di vario tipo mi hanno colpito in questa lettura, che esulano dalla musica. E sono quelle che fanno riflettere sul senso della vita, anche se Peart non appare un grande “filosofo”. Bello il concetto espresso con la visione della terra che rappresenta la concretezza. Egli capisce che forse c’è ancora speranza quando si accorge di apprezzare la forma di due scogli sul lago. Se sa di nuovo gustare il bello, allora vuol dire che si può continuare a vivere: “Il mio processo di costruzione del mondo deve iniziare dal paesaggio. Dal terreno verso l’alto. 1.costruitre un mondo 2. Poi una persona 3. Poi una vita”. Per un uomo senza fede qual è Peart, i mattoni per ricostruirsi vanno presi dalle cose della terra, senza fantasie ideologiche che deludono”. E così cercare consolazione verso un significato più alto è una vuota tensione: “Non mi piace la parola ACCETTAZIONE. Non accetterò mai che la vita possa trasformarsi in questo modo”. Perché due donne meravigliose  e altruiste devono non esserci più? “C’è forse una qualche sorta di ragione? Quale? Si meritavano di morire? Mi meritavo di perderle? Il mondo non aveva bisogno di persone come Jackie e Selena?”. Per Peart il senso di questi eventi drammatici non esiste, si può solo creare un’altra vita, ma questa nuova non avrà nulla a che vedere con la vecchia: “Ci si aspetta che ci rimettiamo in sesto e che andiamo avanti, ma affrontiamo una battaglia disperata perché in fondo non c’è niente da rimettere in sesto! Tutto quello che eravamo, tutto quello su cui erano basate le nostre vite, tutto quello in cui credevamo, non c’è più. Così, quelli che sono stati traditi (dalla vita) devono ricominciare da capo, dallo zero assoluto e costruire una nuova versione della vita con la quale possano convivere. Non ci fideremo mai più della vita”. L’America è un paese spazioso, ma la moto s’infila ovunque. Una cosa che mi ha fatto pensare all’Italia è come, forse proprio per la presenza dei grandi spazi, si sia aperti ad altre prospettive. L’esempio riguardante gli orsi forse può essere esplicativo; mentre in Trentino si uccide una mamma orsa che ha difeso i suoi cuccioli (non credo alla tesi accidentale), e per questo ferito un escursionista, in America i pericolosissimi Grizzly vengono lasciati avvicinare ai centri abitati. Questo deriva dall’ampia visuale di un mondo in cui il selvaggio viene fatto convivere col tecnologicamente strutturato. Si uccidono cervi in primavera, abituandoli in inverno ad essere nutriti come animali domestici, così da averli a portata di fucile all’apertura della caccia (anche questo è descritto nell’opera), e l’isolamento è tanto normale quanto il caos metropolitano. Non si tratta di una scrittura di alta letteratura (tra l’altro le citazioni non mi appaiono così di livello). A volte la modalità di scrittura appare noiosa. Ma c’è comunque di che riflettere, e si comprende quali meccanismi mentali una persona in grande sofferenza utilizza. In realtà alla fine tutto pare riassumersi nel bisogno di una donna. Non c’è molto di ciò nel viaggio, solo accenni, ma la voglia di vivere torna con l’innamoramento e la ricostruzione di un rapporto di coppia. La cosa, frettolosamente descritta nel finale, annacqua il pathos emotivo, e realizza una sensazione finale di banalità che è difficile da allontanare. Ad ogni modo, dopo questa parentesi di sei anni, dal 2002 sono usciti altri tre album dei Rush, con Peart alla batteria. E sono tre opere d’arte che non sfigurano col loro passato, anzi, lo migliorano. Nel libro egli cita il primo dei tre: “Vapor trails”, il cui titolo è nato proprio dall’esperienza di questo viaggio e dal lungo momento triste del batterista, e tra le tracce una è intitolata “Ghost Rider”. Nel libro l’inizio dei capitoli è segnato dalle foto della moto senza pilota, appunto per segnalare un viaggiatore fantasma. Quando Peart aveva ripreso a suonare la batteria vi riusciva come momento di sfogo, ma non era pronto a lavorarvi, non avendo l’impostazione giusta; egli era in fuga e la batteria era solo una espressione spontanea di un senso interiore: “ Ciò che mi sorprese fu quello che accadde musicalmente. Mi resi conto presto che da quei pattern a caso e dai tempi che stavo suonando, scaturiva un “tema” più grande – stavo raccontando la mia storia. Non in termini musicali o lirici ma, mentre suonavo un dato passaggio, pensavo: - questo rappresenta quella scena”. L’estro creativo si fermava lì: “A questo punto la mancanza di un desiderio creativo non è una buona né una cattiva cosa, la creatività è un lusso e non ha nulla  a che fare con la mia missione attuale: sopravvivere”. La conclusione prevede quindi uno sdoppiamento: due vite e due personaggi. La vita precedente è conclusa definitivamente e di essa rimane solo un rimpianto: “quel che è perduto non si recupererà mai”. La vita attuale, una volta ripartita, contiene un percorso separato dal Neil di prima. Qualcosa però nel ricordo rimane intatto, e fa capire che vale la pena di soffrire per una bella esperienza fatta, quella “di averle conosciute” (moglie e figlia). Pena si traduce anche con dispiacere, dice Peart. Cosa sia un dolore e cosa distrugga in un uomo possiamo solo immaginarlo. Qui però abbiamo i pensieri di una persona colpita profondamente. Neil Peart ci ha dato questa possibilità, quella di scrutare nella mente di un essere umano: Per lui è stata una rielaborazione del lutto sia vivere che scrivere del viaggio; per noi lettori è invece un condividere un evento che capiamo empaticamente. Per Peart “mantenersi in movimento” è stata la cura. Al di là delle considerazioni morali che non mi interessava ascoltare; leggendo mi ha interessato invece lo strutturarsi del pensiero e delle sensazioni. E in questo, comprando il libro, ho ottenuto ciò che volevo. Sky Robertace Latini

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IN QUESTI ANNI ABBIAMO CORSO COSÌ VELOCEMENTE CHE DOBBIAMO ORA FERMARCI PERCHÈ LA NOSTRA ANIMA POSSA RAGGIUNGERCI

(Michael Ende)

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A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro, sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi.

(Carl Gustav Jung)