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In questi anni abbiamo corso così velocemente che dobbiamo ora fermarci perché la nostra anima possa raggiungerci. (Michael Ende) ---- A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro. Sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi. (Carl Gustav Jung)

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO:QUANDO LA BANDA PASSAVA...
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501. IL SUONO-PAROLA E I LABIRINTI DELL' ANIMA: PAOLO CONTE di Chiara Passarella



Venerdì  10 luglio Paolo Conte ha aperto  Umbria Jazz 2015 all’Arena Santa Giuliana di Perugia. Una serata nella quale, più che mai, si sono respirate le vibranti energie di un autore che dai vecchi dischi di musica jazz americana, ascoltati “illegalmente” durante gli anni plumbei del regime di Mussolini, è passato a firmare capolavori italiani conosciuti nel mondo come “Azzurro” (resa celebre da Celentano) ma anche piccoli ma intramontabili gioielli come “Insieme a te non ci sto più per la Caselli, “Tripoli” per Patty Bravo, e ancora “Siamo la coppia più bella del mondo” per la Mori e Celentano. Cole Porter e George Gershwin, swing d’oltreoceano:  un musicista colto e raffinato, un paroliere versatile, profetico, ironico, un cantante dalle mille anime musicali. Studia pianoforte, accostandosi all’universo del jazz fin da giovane, plasma la sua duttilità musicale scrivendo testi e musiche per altri, si forma con studi umanistici ed una laurea in Giurisprudenza per poi abbandonare la carriera forense per vivere di arte. Già sul palco di Umbria Jazz nel 2009, Paolo Conte è tornato dopo l’uscita del suo  ultimo lavoro:  “Snob”,  15 inediti che convogliano all’interno di un percorso musicale intriso di essenzialità e raffinatezza, un ritorno alle sue origini musicali: jazz, swing e parole che esprimono la compiutezza di un immaginario pittorico costruito a partire dalle parole, dai suoni, in bilico tra esplorazione, passato e futuro. Il grande pubblico conosce  alla perfezione «Genova per noi», «Gelato al limon», «Onda su onda», «Azzurro», «Bartali», «Messico e nuvole». Ma questa è solo la parte emergente dell' iceberg. Perché Paolo Conte è soprattutto canzoni che si scoprono per attrazione e non per promozione. Il  Conte doc si muove fra pizzi, ricordi, cartoline ingiallite, risatine, falsetti con accento francese, con una orchestrazione cesellata, esplosioni di antiche macchine fotografiche al lampo di magnesio. Insomma un Conte visionario che si immerge nell' ottimismo del futurismo, aerei scintillanti, auto potenti che scalpitano nei box, treni che sferragliano portando via languori di amori misteriosi. Mentre vecchi cristalli tintinnano nel trasandato hotel, che fa rima con Guglielmo Tell. Perché Conte è il maestro del disegno rapido, colui che con pochi tratti vocali e musicali riesce a rendere con immediatezza il senso di una situazione. È l' artista che usa la parola non per il suo significato letterale, ma semmai per la sua potenziale vocazione fonetica. Prigioniero di una lingua ahimè povera di tronche, Conte le stana con fatica e quando non ci riesce si rifugia nel ruggito, nella ratatatà, nella petulante trombetta a membrana (kazoo) o fa esplodere i sassofoni. Conte ha una profonda cultura musicale che lo mette al riparo da ogni manierismo. Così affronta da sempre un viaggio nelle umane contraddizioni, nelle debolezze, nei paradossi. La parola jazz si riempie di sensualità, «Spassiunatamente» (in «Aguaplano») è tutto un toccare, scivolare, palpeggiare, un ipnotico inno partenopeo alla lussuria, un rigirarsi interrotto da sussulti di piacere. Succede spesso che, nelle canzoni di Conte, una struggente storia d' amore si sfilacci  via via in un gioco di paradossi incrociati che l' autore si diverte a tessere con una certa malizia: è il caso di «Dal loggione». Lui non capisce niente di musica e di concerti, è lì per rivedere lei, indifferente in platea. Ma la storia d' amore si dissolve nella esilarante parodia di quel che succede in palcoscenico mentre la musica cita i più classici luoghi comuni del melodramma.  Due canzoni in particolare, eseguite ieri sera, mostrano la capacità pittorica della musica di Conte: «Max» e «Diavolo rosso». Il tema della prima dipinge i labirinti dell' anima, la seconda l' inquietudine fisica dell' uomo simboleggiata da questo bolide che si inerpica per monti e per valli. In un intervista,  Paolo Conte descrive così il suo estro interpretativo  dal vivo: “Inseguo i profumi che una canzone aveva quando è nata. Le canzoni nascono fresche, fragranti di misteriose essenze. Quando sono nuove debuttano con una certa enfasi, come fanciulle in fiore attente a mostrarsi per bene con apparente pudicizia. Col passar del tempo, ma soprattutto col successo, perdono l' aroma delle origini. È per questo che, per esempio, su "Bartali" e "Sudamerica" io accelero i ritmi, mi concentro, mi spremo nel desiderio di restituir loro la magia del momento in cui sono nate». Spesso questi successi, dal vivo, diventano balocchi da smontare e ricostruire secondo l' estro del momento. A dominare tutta l' opera è il piacere del suono-parola, quella «Donna d' inverno» «algebrica e pensosa», quella terra esotica dove «era ancestrale il gesto tropicale», per non parlare della ricerca di «un po' d' Africa in giardino fra l' oleandro e il baobab», o quel guidare mentre lei dorme tornando da un ballo a Stradella via Broni, Casteggio, Voghera. E le donne? Mah: le donne, nelle canzoni di Conte odiano il jazz... Non si capisce il motivo, forse troppe cravatte sbagliate, l' argenteria che sparisce (non son solo ladri di stelle e di jazz). C' è veramente da perdersi nella poetica di Conte, nel suo esotismo da cartolina illustrata, con l' ironia velata di angoscia, dove alla fine un bar come il Mocambo diventa il limbo delle anime perse, dei Forrest Gump come il protagonista di «Sparring partner»: «È un macaco senza storia, dice lei di lui, che gli manca la memoria in fondo ai guanti bui. Ma il suo sguardo è una veranda, tempo al tempo e lo saprai». Per concludere riporto alcuni frammenti di un’intervista: Lei è considerato uno dei più alti rappresentanti della nostra canzone d’autore, ma quali sono i suoi preferiti tra i cantautori italiani e gli artisti internazionali?  «In cima alla piramide Enzo Jannacci. Fuori Italia: Stevie Wonder e Charles Aznavour».  La musica, la letteratura e l’arte di fine Ottocento e inizio del Novecento sembrano una costante fonte d’ispirazione per lei.  «È proprio in quel periodo che è nato il “Modernismo” a cui mi onoro di appartenere». Sembra a lei congeniale il film “Midnight in Paris” di Woody Allenin cui un uomo dei nostri tempi si trova catapultato nella Parigi degli anni Venti, frequentata da Cole Porter, Ernest Hemingway e Pablo Picasso. «Allen avrebbe dovuto fare il film più lungo per farci restare più tempo in quel mondo». CHIARA PASSARELLA

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IN QUESTI ANNI ABBIAMO CORSO COSÌ VELOCEMENTE CHE DOBBIAMO ORA FERMARCI PERCHÈ LA NOSTRA ANIMA POSSA RAGGIUNGERCI

(Michael Ende)

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A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro, sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi.

(Carl Gustav Jung)