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In questi anni abbiamo corso così velocemente che dobbiamo ora fermarci perché la nostra anima possa raggiungerci. (Michael Ende) ---- A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro. Sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi. (Carl Gustav Jung)

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO

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525. RECENSIONI 2015 di Sky Robertace Latini

“SUBVERSUM” (2015) album dei Ram(Svezia)  Metal Blade Records



Heavy Metal classico, ma con un alone di oscurità. Gruppo 525. RECENSIONI 2015 di Sky Robertace Latini

svedese attivo dal 2003 che ha esordito con un ep (“Sudden Impact”). Ora, nel 2015, è al quarto disco con questo mattone di pietra pesante. E quando dico “pesante” non è un modo di dire, che dall’inizio alla fine è sempre la stessa tonica potenza. “RETURN OF THE IRON TYRANT” e “ENSLAVER” sono i brani migliori, pieni di furore e di velocità, e anche dal songwriting più elaborato e dalle linee vocali più ricche. Il livello di cattiveria raggiunge il suo culmine con “EYES OF THE NIGHT”, anche se le doppie chitarre hanno una certa attitudine alla melodia, pur con un assolo tagliente e acuto. Tempo medio per “The Usurper” che appare meno personale ma che mantiene la pesantezza di base, riuscendo però ad evocare parti solistiche ariose.  Particolare è “Holy Death” che si appoggia su di un ritmo in cadenzato levare quasi ballabile, con una linearità che predilige la linea cantata, attenendosi comunque all’asprezza che gronda da tutte le tracce. Il lato più elegante va trovato in pezzi come “THE OMEGA DEVICE”, non perché complesso, ma perché nella semplicità esprime una dimensione evocativa del proprio incedere, nella riffica azzeccata che si intreccia benissimo con la trama vocale; è forse il pezzo che ricorda meglio i Judas Priest. Altro momento raffinato è “Forbidden Zone”, questa davvero molto Savatage. A chiudere un vorace album, preceduta da una violenta e disturbante strumentale, sta la maestosa “SUBVERSUM”, la quale dinamicamente attacca con inaudita ferocia: si tratta di una specie di tempesta che trionfa in un canto graffiante del singer a cui si associa una voce come proveniente dall’oltretomba. Le parti parlate non mi piacciono, e in questa traccia se ne presenta una; ma il fatto che segua una certa metrica le dà una austera dignità, e poi è utile come momento calmo per accentuare l’assolo micidialmente pungente che scatena pura elettricità subito dopo.  E quando l’album è finito non puoi non domandarti se sei tutto intero. Il suono è quello del metal americano che si posiziona stilisticamente tra i Savatage e i Metal Church, prendendo dai primi soprattutto il senso epico e dai secondi il buio atmosferico. La durezza si coniuga con un intenso tocco sulfureo che estremizza le sensazioni, e la voce contribuisce in maniera essenziale a questo feeling. A volte sembra che ci siano piccole incertezze o che alcune composizioni avrebbero bisogno di essere meno lineari, ma l’insieme è così fluido che i difetti diventano semplici curiosità. Sono gruppi come questi a raccontare quanto il metal detto HEAVY non sia solo in mano ai vecchi leoni come Saxon o Virgin Steele, ma sia sorretto e ricostituito da giovani metallers (“giovani” anche se in giro da ben 12 anni, e una volta tale lasso di tempo faceva dei gruppi maturi), i quali forse non passeranno alla storia, data la dispersività della rete, ma che realizzano lavori di grande impatto, altamente ispirati, mantenendone viva la scena. La musica conserva la sua bellezza e la passa di padre in figlio, senza rimpianti.



1.     Return of the Iron Tyrant

2.     Eyes of the Night

3.     The Usurper

4.     Enslaver

5.     Holy Death

6.     Terminus

7.     The Omega Device

8.     Forbidden Zone

9.     Temples of Void

10.                       Subversum

Oscar Carlquist – vocals

Harry Granroth – guitars

Martin Jonsson – guitars

Tobias Petterson – bass

Morgan Petterson - drums





 “TO YOUR DEATH” (2015) album dei ChristianMistress (USA)

Relapse Records

Tre anni fa questi americani avevano dato alla stampa un bel lavoro di NWOBHM piuttosto interessante; “Possession” aveva molto in comune con i britannici Diamond Head, a volte in modo molto spiccato e sfacciato. Adesso, in questo terzo full-lenght, i Diamond si sentono molto di meno ma comunque rimangono il maggior modello ispirativo. La cosa migliore e davvero entusiasmante è il tessuto chitarristico, intenso, ricco e strutturato con grande ariosità, tra riff netti e atmosfere melodiche. Lei invece canta come Patti Smith,  in una modalità molto pacata e declamatoria. Questa sua voce non delimita con chiarezza la linea melodica, ma la frammenta in frasi incerte, facendo perdere incisività al brano, ma forse guadagnandoci in atmosfera. “NEON” è una delle migliori tracce con la sua classicità anni ’80. Altro pezzo di livello è “STRONGER THAN BLOOD” che, tra tutti, è l’episodio più vicino ai già citati D.Head, e in cui è elettrizzante la battaglia fra le due asce a sei corde. Cavalcata mutuata dallo stile Thin Lizzy, è “Eclipse”; ma i Thin si sentono spesso nell’espressività della doppia chitarra. La velocità media è sostenuta anche se mai velocissima, sebbene la classicissima bella “OPEN ROAD” e la maggiormente dura “Tyd” vanno piuttosto spedite. Un sound che spesso mantiene una certa scura anima, con qualche riff alla Black Sabbath, ma che se vuole, come in “Walkin’ Around”, sa viaggiare su una verve orecchiabile e più leggera. La voce di solito appare poco incline a legarsi bene con l’andamento riffico, così sembra che la velocità cadenzata non sempre sia il miglior luogo per il cantato di Christine; invece si ha l’idea che l’ambientazione soft o i ritmi medi siano a lei più confacenti, infatti nell’inizio bluesato di “ULTIMATE FREEDOM” si riesce a vivere una piena interazione fra chitarre e ugola; e anche nel proseguo indurito a middle-time, la cosa continua a funzionare. Lo stesso in “Lone Wild”, il brano con l’essenza doom, che ha una parte iniziale molto eterea, dall’andamento cupo sacerdotale e che rimane fino alla fine evocativa, anche con un bel ponte acustico. La strumentale “III” non è un riempitivo. Il penultimo lavoro pareva meglio cantato, la voce mostra qui più chiaramente i suoi limiti tecnici ma anche interpretativi. Ciò non va a discapito però di una certa magia e un accattivante fascino straniante. In effetti le caratteristiche vocali, una volta abituati all’ascolto, riescono a catturare l’attenzione. La forza vintage del disco è presente sia nel genere suonato, sia nello spirito, e anche nella tecnica espressa. Non c’è alcun tentativo di allontanarsi dalla formula antica degli anni ’80; ma è ottenuta senza fastidiosi ricopiaticci e con una capacità strumentale veramente intrigante. Non ci sono molti gruppi che si gettano in questa forma estetica, quindi nel panorama attuale sono una delle migliori realtà disponibili. Ma chitarristicamente superano moltissimi gruppi in circolazione anche di diversa cifra stilistica, riuscendo a creare intrecci suggestivi e tonici. Gustoso ascolto.  

1.     Neon

2.     Stronger Than Blood

3.     Eclipse

4.     Walkin' Around

5.     Open Road

6.     Ultimate Freedom

7.     Lone Wild

8.     III

9.     Tyd



Christine Davis - Vocals

Oscar Sparbel - Guitars

Tim Diedrich - Guitars

Jonny Wulf - Bass

Reuben W. Storey - Drums



Sky RobertAce Latini



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IN QUESTI ANNI ABBIAMO CORSO COSÌ VELOCEMENTE CHE DOBBIAMO ORA FERMARCI PERCHÈ LA NOSTRA ANIMA POSSA RAGGIUNGERCI

(Michael Ende)

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A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro, sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi.

(Carl Gustav Jung)