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In questi anni abbiamo corso così velocemente che dobbiamo ora fermarci perché la nostra anima possa raggiungerci. (Michael Ende) ---- A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro. Sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi. (Carl Gustav Jung)

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO:QUANDO LA BANDA PASSAVA...
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527. Recensioni Metal Classico 2015" di Sky RobertAce Latini



“GODS OF WAR” (2015) album dei Reverence (USA)
Razar Ice Records
Il Power Metal americano classico, quello diverso dal Power scandinavo alla Stratovarius, non può essere relegato nel dimenticatoio, poiché contiene il primo vero spirito metallico. Rimane la base per chiunque, anche per chi si getta su generi metallici diversi. Del resto esso è il metal che rimane più legato alla fase inglese Judaspriestiana e compagni della fine anni ’70 e primi ’80. La sua architettura è molto decodificata, quindi è difficile riuscire a realizzare ottimi album senza il rischio di cadere nel citazionismo. Eppure esistono band che non vogliono rassegnarsi e decidono di far continuare la verve tradizionale. I Reverence ci riescono pur rimandando a tanti ricordi sonori; belle canzoni evitando plagi, nonostante i riff semplici e canonici. Stupisce come facciano a farsi tanto contigui agli americani Riot e ai giapponesi Loudess (“Tear Down the Mountain”) senza sembrare né gli uni né gli altri. In realtà non siamo di fronte a novellini. Già buona la partenza con una cadenzata e potente title-track che si rifà metà ai Queensryche e metà ai Metal Church, ma la tripletta successiva alza il livello e regala godimento subito al primo ascolto. “HEART OF GOLD” gioca sulla velocità ma è il cantato a proporre dinamicamente strofe che rallentano l’andamento e il ritornello che spumeggia; lo stesso assolo, cercando la melodia, fa spingere meno il ritmo (questa song è tra tutte forse quella più simile agli ultimi Riot). Secca e dura “UNTIL MY DYING BREATH”, ma sempre melodica. Corposa la fredda “ANGEL IN BLACK”, che cambia ritmo varie volte.  Tutte e tre sono gli episodi migliori della faccia più potente dell’album che si evince dalla prima parte del disco. Ma quando si ci si imbatte in “BATTLE CRY”, che non solo surriscalda l’atmosfera con il ritmo, ma fa arrivare un bellissimo dialogo fra le chitarre soliste, sembra di essere gustosamente al top. Nella seconda parte dell’album, che prende il via dalla traccia n. 8, si diventa più orecchiabili e meno duri, ma il valore non viene intaccato. In effetti, l’inizio dei riff grevi di “Choices made” è un equivoco, in quanto poi c’è una  apertura sonora che abbandona la durezza. In questa seconda parte c’è persino una ballata perfettamente funzionante, quando invece sappiamo quanto sia difficile non ripetersi nelle soft-song; in effetti le prime note di “SPLINTER” appaiono banali ma poi il risultato è appagante. La presenza del cantante dei Riot V e del batterista ex-Savatage, non potevano che far supporre ispirazioni strettamente USA, però si fa l’occhiolino anche al metal europeo. La loro somiglianza coi Riot però va oltre il singer, è proprio tutto l’insieme ad avere quella vicinanza. Per tornare a Hall, la sua voce si conferma una delle migliori dell’attuale panorama; rende più efficace il songwriting. In conclusione tutto è sempre molto ben strutturato e non esistono ritornelli banali, inoltre la chitarra solista è sempre impegnata a cercare soluzioni soliste interessanti. Nessun filler;  e nessuna voglia di staccare la spina per chi ascolta il cd. Copertina stupenda, musica briosa: ottimissimo secondo full-lenght.
01.                       Gods Of War - 02. Heart Of Gold - 03. Until My Dying Breath - 04. Angel In Black
05. Tear Down The Mountain - 06. Blood Of Heroes - 07. Battle Cry - 08. Choices Made
09. Splinter - 10. Cleansed By Fire - 11. Race To Obscene
Todd Michael Hall – vocals / Pete Rossi – guitars / Bryan Holland – guitars
Michael Massie – bass / Steve Wacholz – drums
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“RESET, REBOOT, REDEEM” (2015) album degli Steelwing (Svezia)
Noise Art Records
La forza del metal classic non smette di sfornare nuovi adepti. I paesi scandinavi macinano ogni tipo di metallo, e anche quello più tradizionale è pane per i loro denti, oppure suoni delle loro corde. Terzo fulkl-lenght dal 2010, ci si immerge in una sonorità piuttosto sulfurea, pur cavalcando un genere non estremo. La voce soprattutto spinge in tale funesta dimensione. L’intro “Carbon Waste Lifeforms” è fortemente evocativa e riesce ad avere dignità di song. Ma la canzone perfetta dell’album è la titletrack “RESET,REBOOT,REDEEM”, quella che rimane più immediatamente in testa nonostante la sua acommercialità; il pezzo migliore dell’album. Esso contiene una lunga parte centrale con assolo e voce più rude, ugola che qui si rifà molto agli statunitensi Cirith Ungol. “OZYMANDIAS” funziona nel suo ritornello che spinge l’ascoltatore a cantarlo; lo stile è vicinissimo a quello dei danesi Mercyful Fate, soprattutto per la modalità del cantato. “OCH VARLDEN GAV VIKA”, cantata in lingua svedese, è uno dei pezzi d’artiglieria di miglior fattura, molto tesa e ficcante, che è forse tra i momenti più lineari e meno articolati, ma per questo efficace. L’orecchiabilità arriva con “HARDWIRED”, ma niente a che vedere con facili sonorità, soprattutto perché al centro c’è un cambio di carattere, più duro e acido (di nuovo voce alla Cirith Ungol). L’atmosfera sonora è dannatamente apocalittica, soprattutto quando la voce si fa graffiante e roca; uno screaming ad effetto che rimane musicale. La cifra stilistica ha qualcosa di americaneggiante, ma il solco seguito è spesso quello degli Iron Maiden, con la loro ritmica a cavalcata, con i vari cambiamenti del riffing, e con l’assemblaggio delle parti soliste. Così dentro c’è frammisto un bel po’ di NWOBHM, come si sente nella atmosferica”LIKE SHADOWS, LIKE GHOSTS” con la propria tirata alla Warlord. In effetti la band ama divagare dal tema principale con altre parti vocali e riffing riempito di assoli. Spesso come una song dentro un’altra song. Quello che poi troviamo è che la chitarra risulta un’arma continuamente brandita. La batteria suona un po’ cartonata, ma il drummer si impegna con tutta la foga possibile. Non si lesinano idee e l’impianto globale difficilmente accetta la staticità, con la voglia di virtuosismi e con la voce che ha ben tre modi di essere, con acuti che ampliano le dinamiche melodiche. Come altre del 2015, questa band ha saputo succhiare bene il latte del metal ormai datato, che però rimane il nucleo del vero metallo, e produrne uno nello stesso alveo, ma altrettanto convincente (forse la copertina poteva essere migliore). It’s only Heavy Metal but I like it!
01. Carbon Waste Lifeforms
02. Reset, Reboot, Redeem
03. Ozymandias
04. Och världen gav vika
05. Architects Of Destruction
06. Network
07. Like Shadows, Like Ghosts
08. Hardwired
09. We Are All Left Here To Die
Riley – vocals / Alex Vega – guitars / Robby Rockbag – guitars / Nic Savage – bass / Oskar Astedt - drums


Sky RobertAce Latini








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IN QUESTI ANNI ABBIAMO CORSO COSÌ VELOCEMENTE CHE DOBBIAMO ORA FERMARCI PERCHÈ LA NOSTRA ANIMA POSSA RAGGIUNGERCI

(Michael Ende)

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A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro, sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi.

(Carl Gustav Jung)