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In questi anni abbiamo corso così velocemente che dobbiamo ora fermarci perché la nostra anima possa raggiungerci. (Michael Ende) ---- A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro. Sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi. (Carl Gustav Jung)

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO

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537. RECENSIONI di Roberto Sky Latini



“HEAVY CROWN” (2016) album dei Last In Line (USA).

Etichetta: Frontiers

A gennaio di quest’anno è deceduto Jimmy Bain, bassista e co.compositore dei Dio. Partiva ora l’avventura del gruppo che lui e gli altri membri della band accompagnatrice dell’epica voce di Ronnie (eccetto il singer), avevano messo su dopo la morte di quest’ultimo.  Ma Bain non ha fatto in tempo a vivere la pubblicazione dell’album che ha contribuito a scrivere e registrare, né tantomeno il successivo tour. E il disco eccolo: una vera chicca di Hard Rock ed Heavy Metal. Uno sferragliare ritmico e una enfatica interpretazione melodica di stampo prettamente rock. Cioè un lavoro tosto che si esprime ad ottimi livelli. Il moniker deriva da una canzone (written by Dio/Campbell/Bain) e relativo album dei Dio, uscito nell’84. Bain possiamo ormai solo vederlo nei due video ufficiali (“Devil in me” https://www.youtube.com/watch?v=P8t-9o-jyrI e “Starmaker” https://www.youtube.com/watch?v=jK44adkLgDs  ), ma per fortuna ci rimane un testamento di qualità. Infatti non ci sono cadute di stile, tutto è realizzato con uno standard alto, quindi niente riempitivi, la stessa bonus track “In Flames” è in grado di scaldare gli animi.Tra i brani migliori annoveriamo l’apripista “DEVIL IN ME”, un inizio affidato all’eleganza piuttosto che all’impatto adrenalinico. L’impatto è dato dalla seconda traccia “MARTYR” che è il brano meglio riuscito tra i tre veloci presenti nel lavoro.Ma anche “I AM REVOLUTION” sa rendere bene l’energia metallara, quasi punk, di questi dotati musicisti. Se vogliamo, ci sta anche una vocalizzazione parzialmente alla Ozzy.Al vertice, invece, dei mezzi tempi sta la bluesata “BLAME IT ON ME”, che è pastosa e scura con un afflato alla Black Sabbath. Proprio la riffica lenta dà il carattere centrale alla song.Le ispirazioni sono certamente quelle che vengono da Dio. Si sente nei riff di Campbell, per esempio forte nella intensa e anche un po’ funny “Already Dead”, dove i riff appunto risultano vicini a quelli di “Stand Up and Shout” del 1983 (il terzo pezzo veloce); qui è davvero bello anche l’assolo. Si sente Dio pure in certe impostazioni canore di un Freeman, che pur avendo di base uno stile diverso da R.James, ha ereditato una minima sensibilità in tal senso. Anche i middle-time rinverdiscono il genere suonato dai Dio. “Burn this House down” ne è un esempio. Invece “Starmaker” volge più verso i Kingdom Come degli esordi; lo stesso avviene, soprattutto con la voce, nella più orecchiabile “Curse the Day”. Lontano dalla cifra stilistica di Dio è la mezza ballata “Orange Glow” che cerca e trova una atmosfera più contemporanea, attualizzando in modo fresco il proprio sound. Anche la chiusura dell’album possiede una bella verve, grazie a “Sickness” che saltella ballabile e che media perfettamente tra durezza e morbidezza.Classici, tradizionali, puri, ma, chissà perché, riuscendo a rendere fresco ogni passaggio sonoro. Sembra di vivere il passato come se fosse modernamente di oggi e non di un antico mondo vintage. Come se il passato fosse venuto qui a tornare di moda, invece di essere noi a fare un viaggio nel passato. Tanta maestria, anche tanta professionalità, ma la passione e la spontaneità sembrano più intense del mestiere. La scelta del cantante è stata eccezionalmente funzionante. Ma la sezione ritmica è ancora più tenace e buona; quest’ultima appare molto incisiva e tonica.

 In conclusione un piccolo omaggio all’Hard quello vero. E spero che Jimmy Bain stia gustandosi dal paradiso questa seconda vita dell’ormai suo ex-gruppo.

Roberto Sky latini

01.Devil In me / 02. Martyr / 03. Starmaker / 04. Burn This House Down / 05. I Am Revolution / 06. Blame It On Me / 07. Already Dead / 08. Curse The Day / 09. Orange Glow /10. Heavy Crown
11. The Sickness / 12. In Flames (Bonus Track)

Andrew Freeman – vocals / Vivian Campbell – guitars / Jimmy Bain – bass / Vinny Appice – drums





“MODERN SLAVERY” (2016) dei Kerosene (Italy-Terni)

Etichetta: Holier Than Thou Records

Dopo 5 anni di silenzio gli umbri Kerosene decidono di rifarsi vivi con un ep. Il secondo lavoro da studio “Face the Real” del 2011 aveva offerto una band maturata rispetto all’esordio e in grado di portare una forte personalità metallica. Questo terzo si presenta come elemento di continuità, mantenendo la stessa impronta Groove-Metalcore, ma con una portata stilistica più sicura e chiara. Sono scomparse le piccole imperfezioni e ogni brano suona perfettamente equilibrato. Non c’è staticità, bensì un bel dinamismo melodico, con riff netti e precisi, ben duri, su cui si stagliano ritornelli orecchiabili ma assolutamente hard-rock. L’album si apre con la middle-time “WHAT IF” che se vogliamo considerare commerciale, lo è in quanto facilmente assimilabile e quindi più facile da memorizzare, ma dobbiamo avere la cura di descriverlo come pezzo di puro rock, serio e sostanzioso. Possiede cambiamenti nella linea vocale che il substrato ritmico mantiene tonico. Un brevissimo finale più fiammeggiante fa capire come potrebbero scrivere pezzi più d’assalto. E’ comunque la song meno aggressiva e forse anche per questo scelta per il video.(“What If”:     https://www.youtube.com/watch?v=aKQCm18tOwc ).Seconda traccia è “DECEIVER”, che deflagra col suo pesante riff da tir inarrestabile. Oppressione ritmica e atmosfera minacciosa; chitarre pastose. Fa venire voglia di muovere tutto il corpo così da rivelarsi ottima per le scorribande live. Il brano si conclude con ancora più cupezza utilizzando stridori inquietanti.La stessa ossessività e pesantezza, se non maggiore, si sviluppa nella ritmica di “LIE” che però nel cantato si stempera con il ritornello più bello e accattivante dell’album. Assolo liquidamente avvincente. La contrapposizione tra grinta e raffinatezza funziona intensamente.Di colpo arriva una ondata di delicatezza morbida con l’affascinante “HOLLOW”, ma la chitarra ritmica che subentra subito dopo permette alla song di acquistare anche una bella accensione passionale, che elimina qualsiasi idea di canzonetta, arrivando invece ad una gustosissima forza espressiva. Qui il gruppo dimostra che è ancora possibile scrivere canzoni soft dal piglio totalmente rock, e lo fa evitando cliché derivativi e dolciastri. Un colpo da maestri visto che oggi scrivere una ballata di valore è forse una delle cose più difficili da fare. E’ il pezzo che più di tutti prova effettivamente la qualità compositiva dei Kerosene, assolutamente capaci di non cadere nelle trappole della scrittura di routine. La loro creatività infila anche un momento quasi prog e un assolo di ottima caratura.Il quinto pezzo, l’ultimo originale, è “NEUROTIC MINDS”, che si costruisce attorno ad un rifframa intrigante. L’andatura ritmica è da concerto. E’ forse il pezzo più legato alla tradizione metal degli eighties, ma centra appieno il lato funny e slabbrato del kerosene-style.Arriva infine la cover degli U2. Qui viene coverizzata “Sunday Bloody Sunday” con una modalità di arrangiamento che si associa benissimo al resto del disco. Farlo con un brano così famoso è rischioso, ma anche in questo caso viene confermata la bravura artistica di musicisti che non hanno più timori reverenziali.Alla fine, considerate le varie inflessioni sonore, difficilmente i Kerosene possono essere collocati in questa o quella classificazione. Se sono difficili da collocare è perché ogni vecchio input ha connotati assolutamente moderni e attuali. L’assemblaggio delle parti è così ben riuscito, le forzature assenti, la ricchezza estetica così ben impostata, e l’apertura dei paesaggi sonori così ben descritta, che l’ascolto giunge fluidamente fino in fondo, senza mai incepparsi. Brani ad effetto non ci sono, nel senso che l’impatto esagerato non è necessario, in quanto le vibrazioni emotive sono presenti  in maniera continuativa, con un effetto globale ficcante. E’ per questo che è difficile individuare il pezzo più riuscito, sono tutti migliori. Sono un gruppo duro nonostante l’accessibilità, ma non è la velocità a renderli duri, bensì la potenza del loro incedere. Un lavoro equilibrato, costruito con testa e intelligenza, ed essi sembrano consapevoli di ciò, ma nessuna idea avuta pare aver fatto soffrire l’istinto. Solo un ep quindi, ma un mini-cd comunque pregnante, che soddisfa gli appetiti. E’ rock, è hard: è metal. E’ appunto vera musica, anche se canticchiabile, e proprio perché è entrambe le cose, è sound che colpisce nel segno.

1.     What if       2.Deceiver     3.Lie      4.Hollow      5.Neurotic Minds         6.Sunday Bloody Sunday

Alessio Vigo – vocals / Elvys Damiano – guitars / Marco “Billy” Vitantoni – bass / Saverio “Save” Federici - drums



Sky RobertAce Latini

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IN QUESTI ANNI ABBIAMO CORSO COSÌ VELOCEMENTE CHE DOBBIAMO ORA FERMARCI PERCHÈ LA NOSTRA ANIMA POSSA RAGGIUNGERCI

(Michael Ende)

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A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro, sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi.

(Carl Gustav Jung)