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In questi anni abbiamo corso così velocemente che dobbiamo ora fermarci perché la nostra anima possa raggiungerci. (Michael Ende) ---- A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro. Sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi. (Carl Gustav Jung)

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO

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546. UMBRIA IN MUSICA - LARIS E DARKETYPE di Roberto Sky Latini



“UMBRIA IN MUSICA”- Introduzione alle due recensioni

di Sky RobertAce Latini

 

Non si è più a casi isolati, il panorama umbro della musica d’autore è piuttosto ricco e vario. Ma la nostra terra sforna musicisti che poi non si spostano, rimangono qui a macerare. Per parlare di varietà, qui recensisco due album attuali, anno 2016, che sono vari per genere suonato, ma anche diversi per sede geografica. UADG (Ultimi Abitanti di Giove) per il Jazz da Perugia e Subliminal Crusher per il Metal da Terni. A parte la battuta che mi viene sugli UADG, visto che Giove è un comune in provincia di Terni, molto a sud dell’Umbria. In entrambi i casi la musica dei due gruppi appare del tutto ricca di ispirazione e il livello della qualità è soddisfacente , se non ottima. Il nord della regione non è però assente per ciò che concerne il Metal (per esempio i virtuosi Hellraiser) né lo è il sud per il Jazz (dove i Nergrjbia lo ibridano col Rock). Purtroppo ogni velleità artistica muore senza vedere uno sviluppo commerciale o assaporare una minima fama realmente riconosciuta; se è colpa del provincialismo umbro o degli sclerotizzati meccanismi italiani di promozione, è difficile dire. Di certo da noi non si può rimanere per fare successo. Nonostante tutto c’è come gli UADG stanno al terzo lavoro (fra poco il quarto) e come i Subliminal Cruscher al quinto (compreso il demo). Una costanza che temo non verrà mai premiata. Io continuo a recensire l’ambiente coi loro prodotti; sembra che non serva, ma non mi arrendo, e neanche loro a quanto pare. Ad ogni modo in alcune riviste cartacee e on-line, essi sono recensiti anche a livello nazionale. Ce li gustiamo in pochi.

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“LARIS” (2016) album degli UADG (Ultimi Abitanti Di Giove)

Autoproduzione

Arriva quest’anno 2016 il terzo album degli Ultimi Abitanti di Giove, ma che in realtà sono abitanti di Perugia, Umbria quindi. E’ un lavoro che si trova solo in rete al momento. Il genere è fondamentalmente Jazz, con incursioni molto contenute in altre sonorità. C’è la tecnica e anche l’ispirazione, prediligendo l’ammiccamento placido a quello della tensione tonica. Ma non è musica sonnolenta, dato che si mantiene sempre abbastanza frizzante. Non c’è invece una vera e propria sperimentazione, quanto invece un percettibile tasso di improvvisazione. I brani migliori sanno dare ampio spazio alle atmosfere, come avviene in “ASIA” che come classicamente fa il jazz più improvvisato si appoggia su una ripetizione circolare, ma in realtà è anche uno degli episodi che dà spazio ad altri generi, qui rappresentato dal rock anche se solo intravisto, a cui si aggiungono però fiati malinconici. In “ILYS” gli strumenti a fiato sono più interessanti, e il rock è maggiormente in evidenzia, sebbene mutuato dalla modalità fortemente blues, posto nella parte terminale; qui la batteria aumenta la potenza del sound, ed anche per questo la traccia esce dalla linea stilistica del disco. Altra perla è “CLOWN” (video:https://www.youtube.com/watch?v=3JOpXW7OEEk ), il cui equilibrio tra acidità e morbidezza appare raffinatamente piacevole; sono i fiati ad accendere la scintilla sull’atmosfera soft data dal violoncello aristocratico, mentre il basso punteggia tutto con la sua presenza forte e netta e il drumming si esprime con la massima autonomia in un solismo costruito per reggersi da solo senza velleità da freddo virtuosismo, più per essere che per apparire, in un finale lungo ben due minuti. La qualità è alta anche in “THA AHT”, che forse è la meno jazz del full-lenght; la song propende verso  il prog, evidenziando più che in altre tracce il lato sperimentale del gruppo che si racconta tale. Avviene in maniera naturale grazie soprattutto alla chitarra liquida ed al basso dinamico, offrendo senza forzature un bel paesaggio sonoro.  Ogni brano ha le sue peculiarità. “Pitch” apre l’album con classica verve jazz, impostando subito l’ascolto sulla tranquilla sofficità. “Joe” invece pizzica sul basso dialogando con una chitarra altrettanto frizzantina, in un ritmo dallo spirito sbarazzino. L’aria leggermente funky, ma per niente volitiva, arriva con “Palazzo di cristallo”. Meno luminoso “Under” che è l’ultimo episodio, e che trascina l’ascoltatore verso sensazioni rarefatte e inafferrabili, portandolo come su un altro pianeta, scegliendo per il fruitore un taglio scuro da lasciargli come sensazione. Brani filler? Solo “Mobile” che non lascia tracce emozionali. Non si è di fronte alla rivoluzione, ma comunque ad un taglio moderno. Non è un jazz d’attacco, ma riflessivo, dal piglio maturo, non adolescenziale; quando movimentato non impetuoso. Fluisce in modo naturale, la loro leggerezza non è sinonimo di vacuità. Rimanendo prettamente jazz gli accostamenti di altra natura non mutano l’impostazione; l’elettronica c’è ma molto sfumata. Un album strumentale che appaga in modo pieno. Il loro approccio piuttosto tecnico si lega ad una varietà di soluzioni piuttosto ispirate, cercando di non chiudersi in espressioni precostituite. Manca il pezzo ad effetto, ma probabilmente la loro idea artistica non prevede soluzioni commerciali.



1.Pitch    2.Joe    3.Asia   4.Ilys 5.Mobile  6.Clown 7.Palazzo di Cristallo 8.Tha ahT    9.Under

Luca Burocchi - guitar     /    Giorgio Panico – bass     /    Claudio Trinoli - drums



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“DARKETYPE” (2016), album dei Subliminal Crusher (Italia)

Etichetta: Revalve Records



Terni (Umbria) come al solito sforna metallo estremo. Sono ben quattro album dal 2005 (e prima un demo) e non muta molto il loro stile, ma nemmeno appare una mera riproposizione del loro passato. Si sente che cambiare 3/5 della formazione abbia influito sul suono che incombe più duro e massiccio rispetto a tre anni fa. La forza espressa si lega ad un bel girotondo di riff, sempre ricercati e scorrevoli, sia che i pezzi siano elaborati sia che decidano per una più diretta impostazione. I tre migliori episodi vivono di tre differenti anime, per quanto la cifra stilistica non sia mai eccessivamente lontana fra le song. “AND THEN THE DARKNESS CAME” è una cavalcata meno estrema e presuppone una ispirazione del più classico Heavy Metal, pur sempre imparentandosi col Thrash; e la linea vocale colpisce nel segno con una espressività di livello. C’è poi un lato epico ben esplicato  con “ETERNAL AND HOLLOW”, intrigante e pesante. Violentemente arriva il quasi punkcore di “CONDEMNED TO EXILE”, che si scatena come una scheggia di maggior semplicità senza perdere un briciolo in efficacia (il contrapposto doom finale lo avrei sviluppato di più). Questi tre momenti testimoniano come il gruppo sappia destreggiarsi al meglio in diverse proposizioni di sé.  La forma quindi non è monolitica pur rimanendo in un alveo riconoscibile. Il ritmo è comunque ciò che contraddistingue la personalità di questa realtà musicale, con riff che ruotano e si dipanano in un contesto ben delineato, mai scardinando la struttura, ma sempre con dinamica disinvoltura. Semplicità solo apparente; la semplicità sta nel fatto di non voler essere elucubrati, però i riff e i giri di chitarra sono in continuo mutamento. La cosa è chiara in “The Jester who rules the World” e nella più omicida “Vermin’s Choir”, dove l’attacco è in entrambi i casi letale senza tanti fronzoli ma nemmeno con una sterile proposizione dello stesso riff dall’inizio della traccia alla fine. Il perfetto bilanciamento tra Thrash e  Death non evita che ci sia anche una spruzzata oscura di Black Metal quando arriva la malefica “No Future for your Head”. Ma in tutte le canzoni, per quanto si possa affondare nella più nera atmosfera o nella più acerrima violenza, un po’ di luce filtra sempre attraverso un assolo o un passaggio sonoro; sono attimi più o meno brevi ma evidenti. In Obscure Path”, per esempio, dove il ritmo è ossessivo, la chitarra offre una certa chiara morbidezza. La vocalità è un altro elemento piuttosto elaborato. Il Growl, a volte si interseca con lo screaming in un ludico alternarsi, dove alcune sovraincisioni variano la grumosa presenza delle ugole. Particolarmente efficace il doppio suono gutturale  nella già citata “The Jester who rules the World”, ma ancora più singolare la triplice ugola di “Archetype” dove una sinistra voce a volume più basso ma nettamente presente, a volte tremolante, si combina con le altre voci realizzando un effetto molto inquietante. Tutto è fortemente intrigante, anche “Violence”, che nel suo essere standard riesce comunque ad iniziare l’album con la giusta verve da attacco feroce. Un riempitivo trova comunque posto nel full-lenght: trattasi dell’unico pezzo che prova il goticismo, cioè “Ashes of Mankind” di cui è buono lo spunto ma povero lo sviluppo. La chitarra ritmica macina continuamente riff, ma anche quella solista ha le sue belle parti, pur senza strafare. Solismi che brillano spesso al modo di Mustaine dei Megadeth. Il sound è aggressivo, a volte arriva fino alla brutalità senza però esserlo sempre, quindi senza affogare le variabili compositive in gioco. Le song possiedono un carattere robusto ma mai del tutto opprimente;  e  il songwriting, pur articolato, non è intricato, anzi piuttosto facilmente fruibile. La band merita ben altri contesti che quello locale, avendo dimostrato di saper vivere in maniera matura il genere mai abbandonato eppure sempre prodotto in modo da tener lontano le ripetizioni. Qualitativamente sono degni del panorama internazionale. L’unica cosa che mi ha deluso è la realizzazione grafica della copertina: un contenitore inadatto al contenuto.


1. Violence   2. Archetype  3. And Then the Darkness came  4. Ashes of mankind  5. Condemned to exile   6.  The Jester who rules the World  7.   Eternal and Hollow  8.  Vermin’s Choir  9.  No Future for your Head  10.  Obscure Path



Emiliano – vocals  /  Lorenzo – guitar  /  Marco – guitar  /  Jerico – bass  /  Marco - Guitar



ROBERTO SKY LATINI

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IN QUESTI ANNI ABBIAMO CORSO COSÌ VELOCEMENTE CHE DOBBIAMO ORA FERMARCI PERCHÈ LA NOSTRA ANIMA POSSA RAGGIUNGERCI

(Michael Ende)

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(Carl Gustav Jung)