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In questi anni abbiamo corso così velocemente che dobbiamo ora fermarci perché la nostra anima possa raggiungerci. (Michael Ende) ---- A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro. Sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi. (Carl Gustav Jung)

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO

LA FOTO DELLA SETTIMANA  a cura di NICOLA D'ALESSIO
LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO:QUANDO LA BANDA PASSAVA...
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551. RECENSIONI 2016 di Sky RobertAce Latini


"THE ASTONISHING” album 2016 dei Dream Theater
Etichetta: Roadrunner Records
Ecco nel 2016 i Dream Teather essere ben vivi e vegeti col loro tredicesimo album dal 1989; dopo tanti anni di carriera ancora profondono massimo impegno. E stavolta l’impegno si tramuta in un doppio album. Più di due ore di musica, lungo quindi, creato così per necessità tematica, dato che si tratta di un concept scritto come una storia vera e propria, tipo musical. La struttura prevede brani completi ma anche tanti piccoli pezzi ad assemblare un viaggio da non spezzare nell’ascolto. La storia racconta di un mondo distopico dove le macchine governano. Le Nomacs, appunto il nome delle macchine, si sentono nella prima traccia, poi in “The Houvering Sojourn”, in “Digital Discord”, in “Machine Chatter” e in “Power Down”; ben 5 volte quindi ma è una sonorità che piace ascoltare come fosse musica sperimentale, seppur per brevi inserti. Valore? Io credo che sarà un album controverso, un lavoro su cui dire bene e meno bene. Sempre di Dream Theater al 100% si tratta, indiscutibili nella loro tecnica e nel loro Progressive-style. Ma le idee musicali sono davvero tutte personali? Già “Dystopian Overture e “The Answer” fanno affiorare passaggi scontati e già sentiti (per esempio in “Brother, can you hear me?”), troppo didascalici, comuni a tanta acqua di storia passata sotto i ponti della musica. Questa sensazione si ha più volte in varie zone del disco, e forse la causa di ciò sta nel voler essere proprio raccontatori di storia; mettendosi infatti al servizio di essa la musica diventa un po’ indirizzata e sottomessa al concept. “The Gift of Music” non è male ma non appare di alto livello, anzi è nella media standard, anche se buona; lo stile ricorda fortemente i Rush. “A BETTER LIFE” diventa la prima traccia degna del meglio della band, molto morbida e sognante; vicina ad essa,come apertura anche se più dinamica e virtuosistica, troviamo la altrettanto bella “MOMENT OF BETRAYAL”. Bella anche la raffinata “A LIFE LEFT BEHIND” che ricorda i suoni di Yes o Asia nella sua fresca ritmicità; ma possiede anche una gustosissima linea melodica soft. Interessante “Lord Nafaryus”, con la sua parte ad andamento di tango,  che però non è così originale, utilizzando modalità teatrali non certo nuove (usate anche dai Nightwish). Teatralità mostrata anche in “Three days”, che però appare migliore in quanto meno derivativa. Episodio nettamente di valore è uno dei pezzi più duri: si tratta di “A NEW BEGINNING”, anch’essa con tratti teatrali, in cui arriva una parte solistica degna dei grandi D.Theater, e che presenta però anche un momento soffice cantato. Invece la durezza mista a classico prog la troviamo in pezzi come “A Tempting Offer”. nParti strumentali virtuose esistono così come gli assoli che li hanno sempre contraddistinti, ma più che in passato, il cantato acquista maggiore spazio nella percentuale registrata. La voce di LaBrie scorre bellissima e luminosa, davvero ottima prestazione. Alla chitarra si preferisce il pianoforte, sebbene non si evitino accordi chitarristici duri, solo che c’è meno metal del solito nonostante l’appeal di base sia sempre quello. Non grande virtuosismo tastieristico, ma piace sentire l’Hammond in “The X Aspect”. L’album è promosso perché comunque le emozioni vengono evocate, e perché alla fine l’insieme funziona. Per me è uno degli album meno riusciti, comunque la magia arriva, e la voglia di ascoltare non va via. Alfine è forse anche uno dei lavori più orecchiabili e commerciali della band. In questo senso brani come “When your Time Has come” (un po’ alla Yes) rappresentano davvero questa facile ascoltabilità. E la ballata “Act of Faythe”, non solo è fruibilissima, ma diventa quasi dysneiana rischiando di risultare pacchiana; fortuna che la band consta di grande spirito artistico e sa truccarla bene, donandogli persino un finale epico e fatato. Ballate più d’una, tutte decenti ma non sempre il massimo della particolarità. Del tutto discutibile la dolcezza di  “Chosen” che darei ad un gruppo AoR che non ci sfigurerebbe nell’usarla, non è brutta ma di tipo comune, e che salvo davvero solo per l’assolo di chitarra. Per dirla meglio, chi può criticare “Losing Faythe”? Chi può dire che è brutta? Però è nella scia quasi pop se non fosse per l’enfasi che vi si riesce a dare. Come soft-song si apprezza meglio l’inizio di ”RAVENSKILL” perché elicita una atmosfera più introspettiva, anche se fa il verso a Freddy Mercury dei Queen, o forse si gode proprio per questo; la seconda parte della song è più tonica ma senza velocizzarsi troppo, ampliando enfasi e ariosità. Non male anche “Begin again” e “Whisper on the Wind”. Una ballata più densa invece è “Hymn Of A Thousand Voices”, quasi celtica (folkeggiante per la presenza importante del violino) che termina con pathos enfatico e che assume in sè parte di quella verve tipica dei prog-rocker Kansas. C’è un motivo di base ripetuto in varie sezioni del disco e anch’esso è soffice, ma la continuità si ha stilisticamente senza fratture estetiche. Tra il primo e il secondo cd non vi sono grandi differenze valoriali, ma il secondo appare più compatto e maggiormente incisivo senza perdersi in troppe distrazioni sonore. Anche situazioni minori come “Heaven’s Cove” e “The Path that divides” hanno un buon appeal tonico e appaiono pregnanti. Opera Rock, che può essere considerata scintillante, sebbene non l’apice compositivo dei Dream. Resta forte il senso dell’eleganza che proviene dalla classe da sempre espressa e che qui come al solito non viene lesinata. Sembra che il gruppo si sia divertito senza voler essere originali a tutti costi; e sembra, stranamente allo stesso tempo, tutto spontaneo e tutto studiato.
 ACT I                                                                                       ACT II
01. Descent Of The NOMACS                                                    01. 2285 Entr’acte
02. Dystopian Overture                                                           02. Moment Of Betrayal
03. The Gift of Music                                                               03 Heaven’s Cove
04. The Answer                                                                        04. Begin Again
05. A Better Life                                                                      05. The Path That Divides
06. Lord Nafaryus                                                                   06. Machine Chatter
07. A Savior In The Square                                                      07. The Walking Shadow
08. When Your Time Has Come                                                08. My Last Farewell
09. Act Of Faythe                                                                     09. Losing Faythe
10. Three Days                                                                          10. Whispers On The Wind
11. The Hovering Sojourn                                                           11. Hymn Of A Thousand Voices
12. Brother, Can You Hear Me?                                                 12. Our New World
13. A Life Left Behind                                                                 13. Power Down
14. Ravenskill                                                                             14. Astonishing 
15. Chosen
16. A Tempting Offer
17. Digital Discord
18. The X Aspect
19. A New Beginning
20. The Road To Revolution
James laBrie – vocals     /     John Petrucci – guitars     /     Jordan Rudess – keyboards
John Myung – bass     /     Mike Mangini - drums

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“INGLORIOUS” - album 2016 degli Inglorious
Etichetta: Frontiers Music
Se esce un album di musica hard fortemente tradizionale, da cifra stilistica anni settanta/ottanta, ed è un debutto, deve essere di qualità perché altrimenti si scopre l’acqua calda. E gli Inglorious sono una realtà invece freschissima, che legge il passato fedelmente si, ma con la capacità di donare elettrica contemporaneità dal punto di vista energetico e dell’ispirazione. Niente sperimentazione né ibridazioni quindi, ma belle e rotonde song. Si naviga tra Led/Deep, ma soprattutto Whitesnake e Hughes, in una avvolgenza calda che prende in sé tanto feeling bluesato. Un po’ alla Voodoo Circle, ma con tanta tanta, davvero tanta, personalità in più, probabilmente per l’eccezionale voce di Nathan che già conosciamo per i trascorsi con la Trans-Siberian Orchestra ed altre esperienze, e anche grazie alla chitarra agguerrita che spara virtuosismi efficaci seppure al servizio della forma canzone. L’inizio è un po’ una trappola, perché l’intro di “UNTIL I DIE” dà adito all’idea che stia per essere sparato un colpo tipo “Highway Star” dei Deep Purple, lo fa supporre l’Hammond e la ritmica batteristica in crescendo, invece si stoppa un po’ con il riff alla Page; una saldatura un po’ forzata che suona male, ma poi la carica emotiva successiva sovrasta  il fastidio e lo elimina. Ed ecco allora una suggestiva e tonica vibrazione che segue il rock più verace tramite un middle-time corposo. Subito dopo giunge la velocizzazione di “BREAKAWAY”, cavalcata ben cadenzata alla Whitesnake, in cui la voce regala caldo afflato. Il  respiro è rock ma l’anima blues non sta molto nelle retrovie, è però in “HOLY WATER” che la cosa diventa netta, brano che quasi sembra composto da Joe Bonamassa. Una seducente magia esprime la title-track “INGLORIOUS”, che inganna con la sua melliflua morbidezza, mentre alla fine, tra gli accordi scuri e la voce epica, possiede una possenza che sposta infatti il tasso stilistico dall’approccio Coverdale a quello Ronnie James. Questo appena raccontato è il poker degli episodi migliori, e però tutte le canzoni presenti sono fascinose e costruite in modo da rimanere dentro, composizioni che non stancano. Certo l’uso di alcuni riff non prettamente originali rischiano di fare abbassare il livello del disco, ma ascoltando “High Flying Gypsy”, che ha questo difetto, ci accorgiamo che invece la band riesce a non farsi tirare giù e offre sempre la bella soluzione melodica e strutturale che mantiene la promessa. L’attacco più duro è “Warning”, dove l’assolo di chitarra, se si fosse  sviluppato di più, ne avrebbe incrementato il tasso adrenalinico. La prova del nove si ha sulle parti soft, le quali sono sempre difficili da realizzare senza il rischio di apparire scontati. Invece la band esce vittoriosa anche su questo campo e la bellezza del songwriting si coniuga alla sensibilità dell’arrangiamento; basti sentire la densa “Bleed for you” e la dolce acustica  “Wake”. E certo molto merito in tal senso va dato al cantante; ci si trova davvero di fronte ad una delle più capaci ugole degli ultimi anni, vigorosa e intensa. L’album è pieno di acuti che più che ricordare Gillan, ricordano Hughes; una notevole abilità esecutiva mista a passione che non usa l’acuto solo come urlo di potenziamento del passaggio sonoro, ma come fa Hughes, la tonalità acuta viene usata anche nella frase melodica. In definitiva ascoltando questa opera si può lasciar perdere il termine “vintage” che ci potrebbe pure stare, ma che non racconta appieno un disco il quale non è una mera copia ma un bel modo di  far rivivere uno stile. Ma anche se volessimo usarlo, è un termine che non vuole assolutamente tacciare il suono della band di derivativo, cosa che invece vale per i Voodoo Circle già citati. La Gran Bretagna non è più la nazione guida del Rock e del Metal, ma quando sforna un gruppo così, tira fuori tutta la forza verace della sua tradizione, ricordando a tutti dove è nato il tasto duro della musica. Ci sono gruppi inutili al posto dei quali è meglio tirare fuori un vecchio vinile di band antica, mentre con gli Inglorious è come se il passato fosse qui a continuare verso il futuro da dove aveva lasciato.
01. Until I Die        02. Breakaway       03. High Flying Gypsy       04. Holy Water       05. Warning
06. Bleed For You    07. Girl Got A Gun    08. You’re Mine    09. Inglorious    10. Wake    11. Unaware
N. James –vocals / A. Eriksson –guitars / W. Taylor –guitars / C. Parkinson –bass /P. Beaver -drums

Sky RobertAce Latini

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IN QUESTI ANNI ABBIAMO CORSO COSÌ VELOCEMENTE CHE DOBBIAMO ORA FERMARCI PERCHÈ LA NOSTRA ANIMA POSSA RAGGIUNGERCI

(Michael Ende)

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