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In questi anni abbiamo corso così velocemente che dobbiamo ora fermarci perché la nostra anima possa raggiungerci. (Michael Ende) ---- A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro. Sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi. (Carl Gustav Jung)

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO:QUANDO LA BANDA PASSAVA...
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552. RECENSIONI 2016 di Sky RobertAce Latini


ITALIA IN MUSICA
La musica del passato glorioso, quello della musica classica , non è masi stata seconda a nessuno. Ma con il Rock di massa siamo stati spodestati dalla cultura musicale mondiale, anche se la musica leggera tricolore è stata osannata in America e in molti stati dell’est, almeno fino a trent’anni fa. Oggi però gli italiani hanno imparato bene a fare rock, e Metal in particolare. Due le grandi band famosissime all’estero e che, tra i gruppi italiani,  vendono più degli altri fuori dallo stivale: LACUNA COIL (milanesi) e RHAPSODY OF FIRE (di Trieste, divisi oggi in due combo diversi). Lo strano è che fanno generi che in qualche modo hanno a che fare con caratteristiche classiche in quanto i generi sono, per i primi il Gothic e per i secondi il Symphonic; generi appunto molto tradizionali in considerazione dell’ispirazione. Una specie di rivincita del suono prettamente europeo e non anglosassone, pur mescolandosi col rock. In realtà i Lacuna sono alquanto americaneggianti, ma le melodie hanno comunque a che fare con l’italianità, specie per la vocalità di Cristina Scabbia. D’altro canto il mondo italico continua a sfornare musica di vario genere, l’arte non s’è mai allontanata dal popolo nostrano. Avviene nel Jazz come nel blues, nelle colonne sonore, ma anche nella musica pianistica pop con differenti approcci. LUDOVICO EINAUDI, molto essenziale nelle sue melodie cantabili, e GIOVANNI ALLEVI più frizzante. A Perugia abbiamo il compositore ALBERTO CALOI, il quale invece ha un approccio meglio accostabile alla musica classica, sebbene vada inteso in senso moderno. La bellezza dell’arte è quella di rigenerarsi sempre, è vero che tanto s’è già sentito, ma ciò che rimane è la voglia di esprimersi, e nell’espressione artistica la musica ha un chiaramente un posto privilegiato. Questa voglia in Italia continua a donare livelli artistici di qualità. Venendo alle due realtà qui recensite entrambi fanno dei loro lavori quasi un concept, anche se sono i brani ad avere qualcosa in comune e non una sola storia. Per i Lacuna  l’argomento riguarda la malattia mentale e dei luoghi dove questa sofferenza veniva emarginata, cioè i manicomi; tema forte e pregnante. Per Caloi l’ispirazione si è imbevuta di vita quotidiana e di descrizioni che partendo dalla realtà diventano romanticismo ed emozione, suonando come se si stesse dipingendo (il padre era pittore quotato). Due viaggi di materia che corrono verso lo spirito astratto.

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QUADRI MUSICALI (2016) – album di Alberto Caloi (Italia)
Il pianista Caloi, nato a Bergamo ma perugino d’adozione, cerca di portare l’essenza della musica classica nella frizzantezza di un dinamismo più attuale. Compone in maniera melodica ma eccitata, senza troppa indulgenza verso le linee strutturali, divagando con arresti improvvisi e scatti di ripartenza. L’impianto è a volte nervoso, a volte placido, ma mai con una definizione netta, l’intercalare infatti tende a proporsi in brevi momenti o a rigurgitare scintille quando ormai si pensa che lo schema sia acquisito. “DIALOGO TRA VENTO E NUVOLE” esprime un lato soft molto ben delineato, ma dentro si spruzzano aliti dialoganti con la parte morbida. Breve finale troppo canonico. “MARE IN TEMPESTA”, dopo un intro scuro e morbido che pare descrivere un incupirsi del cielo di nubi, è fortemente vivace, e sfila inizialmente in maniera fluida. Forse un po’ troppe scale, che danno si l’idea dell’onda che si alza, ma che determinano un calo di originalità. Un brano che potrebbe essere adatto anche ad accompagnare un film di cinema muto. “TERRA” continua a gestire atmosfere scure, in un divenire che usa note dolci solo in alcuni punti accennati. “GIORNATA DI 24 H” è forse il pezzo meno classicheggiante, dove vige una parziale sperimentazione jazzista che dal vivo si aprirebbe a improvvisazioni. Un andamento schizzato, un dripping violento a immaginare una giornata frenetica. La dolcezza di Caloi viene fuori con “SUONO DI PIOGGERELLA SULLE FOGLIE”  che dona al fruitore un momento di calma rilassante e che fa vedere un pianista anche capace di lasciarsi cullare dalle idee compositive e non volersi affermare solo con l’impeto. Questo non significa che dentro non vi siano punteggiature dinamiche, sia nella prima parte che poi chiaramente nella centrale dal minuto 2 e 37 dove la pioggerella si fa più intensa, per tornare alla soavità finale. Stranamente l’episodio più sognante (e anche più bello) inserito in un contesto d’opera globalmente sempre saltellante. “RINASCITA” si allaccia alla dolcezza del brano precedente, ma con taglio meno soave, descrivendo un passaggio interlocutorio che prende forma con piccole note tese, in un crescendo che anche qui porta a scale non del tutto efficaci, fino ad un momento che appare invece molto più intrigante in un andamento tirato e relativamente jazzato con note basse che scorrono come cercassero una forma senza trovarla fino al minuto 4 e 34. La netta separazione delle due parti è chiara e da qui si evolve verso una espressività meno ribelle che trova appunto la forma e la forza.  Si tratta sempre di espressività di ricerca che come in Malher non trova conclusione definitiva, ma lascia all’ascoltatore la domanda di quale rinascita e futuro possa trattarsi. Il pezzo è dedicato al padre Sandro, artista pittore; deceduto durante la stesura. “L’UOMO AL DI LA’ DELLE COLONNE D’ERCOLE” ha un andamento esitante, indefinito, come se l’autore volesse descrivere un qualcosa che deve decidersi a prendere il via. Poi dal minuto 3.39 il tema cambia e c’è uno scatto di netta decisione che dal minuto 4.22 prende il via quasi come una marcetta. Qui troviamo altre scale sviluppate in modo variabile, le quali non mi convincono tutte appieno, ma riescono a lasciare invariato il valore di questo brano.  E devo dire che i due “tun tun” terminali potevano essere evitati lasciando alle note acute un finale per l’immaginario di chi ascolta. Il titolo, forse non originalissimo, è quello che meglio spiega la linea concettuale dell’opera. Si tratta davvero di visioni descrittive, che in qualche modo possono essere pensate come pezzi da colonna sonora in una estetica visiva che risponde al termine “quadro”. Dentro c’è un feeling verso Chopin ma non solo e il brano d’apertura che è un omaggio ai grandi compositori di ‘800 e ‘900 lo vuole raccontare. E’ comunque, tutto l’album, una scelta compositiva che ama il passato senza rimanerne prigioniero, con un minimo di attitudine jazz seppure mediata da un concetto musicale che jazz non è. La valenza iperdinamica di alcuni momenti, io, come recensore rock, la definirei metallica, quindi quasi estrema, ma in realtà tradizionale per accostamento alla musica classica. Un bel disco che fa della bellezza estetica, ma anche del sentimento romantico, una vicissitudine di tipo contingente e concreto, una esaltazione del valore della vita che se ne sta tra la quotidianità e la fantasia astratta. Non una musica troppo eterea per gli angeli, ma carnale per gli uomini.
1.Ricordo di Alberto Gori                2.Dialogo tra vento e nuvole            3.Mare in tempesta                   4.Terra                 5.Giornata di 24h                   6.Suono di pioggerella sulle foglie                   7.Rinascita           8.L’uomo al di là delle Colonne D’Ercole
Compositore ed esecutore: A.CALOI
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“DELIRIUM” (2016) album dei Lacuna Coil (Italia)
Etichetta: Century Media Records
Questa band italiana non può comporre un disco di basso livello, questo è ormai assodato. Dopo 7 album anche questo ottavo è pregnatamente significativo, sia per sound che per tematiche liriche (manicomi e malattie mentali). Qui siamo di fronte ad un indurimento del feeling con chitarre molto groovy e ribassate. Anche il cantato maschile cerca un impatto violento e quando inizia l’album con l’intensa “THE HOUSE OF SHAME”, sembra quasi di trovarsi di fronte ai Five Fingers Death Punch invece che ai Lacuna, dato il groove compatto e la ferocia della voce maschile, discostadosi da questa asprezza solo con la voce femminile che fa soavemente da contraltare.  Se la prevalenza caratteriale rimane quella gotica tipica del loro stampo compositivo, c’è molto più Metalcore che in passato. In effetti, nonostante la maggior pesantezza, le song sono più facili da assimilare rispetto agli ultimi capitoli discografici. In pezzi come la atmosferica “BROKEN THINGS”, la melodia, tra un urlo e l’altro, è piuttosto suadente. Insieme a questi due episodi, l’alto livello artistico si esprime anche con l’evocativa “CLAUSTROPHOBIA” (forse la più bella del lotto)  e la seriosa “ULTIMA RATIO” che si spendono in due fluidi assoli chitarristici. “Delirium” appare molto intrigante nelle sue vocalizzazioni di ritornello, ma semplifica troppo la propria struttura per poter diventare brano migliore; certo Cristina qua dentro esprime una voce ammaliante. Meglio brani come la calma “Dawnfall”, e la quasi Death “Blood, Tears, Dust” (ospite Myles Kennedy degli Alter Bridge) che equilibria benissimo la rocciosità con la morbidezza, in una tonalità vocale che arriva sorprendentemente ad acuti di ugola vicini a quelli di Sharon Den Adel dei Within Temptation. Prendo atto inoltre che gli statunitensi “In This Moment” hanno fatto presa sui Lacuna, dove il goticismo di tipo decadente ma efficace sforna “You love me ‘cause I hate you”. Due soli i brani non propriamente di valore: una è “Ghost in the Mist” che però regge bene la tensione pur essendo scontata; l’altra è “My Demons” che si fa eccessivamente Nu Metal senza apparire interessante, preferendo spiattellarsi in modo commerciale.  Via il chitarrista Maus sostituito da Diego Cavallotti che è presente nelle registrazioni di “My Demons” e “Ultima Ratio”, la formazione originale mantiene solo tre figure, i cantanti e Zelati. Le corde vocali di Cristina stavolta si sono impegnate in un ascesso di maggior virtuosismo; oltre alla bella presenza rock, ha dalla sua sempre avuto una ottima presenza artistica per carattere ed espressività, qui non si è voluta cullare sugli allori, ma ha dato di più, senza apparire nemmeno prima donna (pur essendo l’unica nella band). La maggior durezza non ha snaturato l’essenza della band, ma forse ha semplificato leggermente il songwriting, rendendo meno vario l’intero impianto. Propendo verso l’idea che questo disco sia meno ricco e interessante dei tre dal 2009 al 2014. Più fruibile? Non so, la cattiveria lo rende comunque lontano dalla vera commercialità, e ne mantiene il tono in qualche modo provocatorio. Come ho detto all’inizio, i Lacuna sanno solo realizzare buoni lavori. Di certo vi è la sicurezza e la maturità di gente che sa stare in un alveo di tipo internazionale, e ciò è riconosciuto dal pubblico straniero, in quanto sembra che questi nostri siano la metalband italica più venduta all’estero. Nonostante essi abbiano un carisma ormai di successo, hanno tentato in questa opera di non appiattirsi su schemi passati.
1. The House Of Shame                   2. Broken Things          3. Delirium          4. Blood, Tears, Dust           5. Downfall                   6. Take Me Home                   7. You Love Me ‘Cause I Hate You             8. Ghost In The Mist              9. My Demons              10. Claustrophobia                   11. Ultima Ratio
Cristina Scabbia – vocals / Andrea Ferro – vocals / Marco Coti Zelati – bass; keyboards / Ryan Blake Folden - drums

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Sky RobertAce Latini

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IN QUESTI ANNI ABBIAMO CORSO COSÌ VELOCEMENTE CHE DOBBIAMO ORA FERMARCI PERCHÈ LA NOSTRA ANIMA POSSA RAGGIUNGERCI

(Michael Ende)

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A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro, sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi.

(Carl Gustav Jung)