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In questi anni abbiamo corso così velocemente che dobbiamo ora fermarci perché la nostra anima possa raggiungerci. (Michael Ende) ---- A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro. Sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi. (Carl Gustav Jung)

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO:QUANDO LA BANDA PASSAVA...
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559. MARIA MARCHESI, DA L’OCCHIO DELL’ALA di Chiara Passarella



So che il dolore in parole è appena
un venticello di stracci, murene d’acquario.
Ma io sono stata morta per troppi anni e adesso
sono oltre la velleità del dolore e oltre la comprensione
che sillabe su sillabe possano dare.
Il mio scrivere è soltanto un buio errare
tra funeste stazioni diroccate, tra binari spenti
che tracciano disegni angusti, stenti
ricoveri di stelle cadute nelle pozzanghere.



                                            Maria Marchesi da L’occhio dell’ala



Della biografia di Maria Marchesi si sa soltanto che è nata nel Veneto da madre lombarda e da padre friulano. Si è laureata in Lettere Classiche, con una tesi su Lucrezio, e ha lavorato per un breve periodo nella scuola insegnando greco e latino. Ha sofferto per lun­ghi anni di gravi disturbi della psiche relegata in una casa di cura da cui è uscita dopo la legge Basaglia.  Così la poetessa scrive di se stessa nella premessa del suo primo libro “L’occhio dell’ala”: E’ una strana vicenda poetica la mia. Scrissi le prime poesie in un ospedale psichiatrico. Scrivevo e strappavo. Trasformavo in versi tutto ciò che mi accadeva, pensavo o percepivo. […] Quando poi i manicomi sono stati chiusi e sono stata riconsegnata a me stessa (con tutte le difficoltà che si possono immaginare), ho ripreso a scrivere. Intanto avevo fatto molte letture, di poeti soprattutto, e sentivo che i miei versi non erano peregrini e che avevo voglia di farmi leggere. Così inviai un mannello di composizioni ad Andrea Zanzotto e a Geno Pampaloni. Le risposte furono immediate: Zanzotto, con due cartoline postali, mi parlò di “consapevolezza autentica, di grande poesia; mi consigliò di “evitare riferimenti ad altri autori letterari” e mi raccomandò a un editore importante; Pampaloni sottolineò “la musicalità… il senso acuto del paesaggio, la malinconia di fondo che non arriva alla disperazione” e azzardò un paragone con grandi poeti come Celan, Michaux, Trakl, Silvia Plath. Diceva “E’ poesia alta, una sorpresa che sconcerta ed esalta”. Chi sia Maria Marchesi se lo sono già domandato in tanti prima di questo momento: premio Viareggio 2004 per la poesia, nessuno ritira in verità il premio, né si farà, alcuno, portavoce. Le parole però ci sono, le odi, le sillogi, e vengono alla luce, nella stampa, due libri: “L’occhio dell’ala”, per Lepisma nel 2003 (che appunto vincerà il premio) e due anni dopo “Evitare il contatto con la Luce” sempre per Lepisma editore. E infine nel 2014 “Non sono più mia”. ppure. […] È lì che trovo / una bambola lercia e scucita ormai, / un piccolo alveare le cui api parlano / la mia lingua, e un cespo di rose canine / che profumano senza secondi fini.” Ma partiamo dal principio, anni addietro, durante i quali in seguito al manifestarsi di una depressione, la poetessa – che ricordiamo avere ancora milioni di parole sparse tra i suoi cassetti -  la prima volta si fa ricoverare spontaneamente; successivamente invece andrà in maniera diversa, iniziano così, anche per lei, le vicende presso gli ospedali psichiatrici. Gran parte dei suoi scritti fa riferimento proprio a quei cicli, a quel susseguirsi di giorni e violenza, di pastiglie e umiliazioni, menomazioni dell’anima. “Non sono più mia” raccoglie anche inediti incerti di dubbia provenienza ma non di dubbia poeticità. Le parole vibrano “Non sono più mia ormai e vorrei sbaraccare, / portarmi dietro le cose invisibili / che sono i pensieri però ancora intatti“; le immagini che proiettano le sue parole sono crude, vivono in latrine, non possono mai prendere il volo. E quando finalmente, nel 1999, la sanità grazie alla legge Basaglia porta a termine la chiusura di tutti i manicomi, si respira sollevati: le violenze sui malati si possono dire definitivamente cessate. La poesia, con la Marchesi, non necessita di traduzioni; le parole sono impresse sulla carta già intrise del suo più profondo significato, e lasciano baffi e sgualciture, che costringono alla rilettura: leggerla una volta sola non basterebbe mai. Una raccolta di versi che è di per sé un romanzo. Un giallo poetico. Un incastro da scatole cinesi tra gli ultimi componimenti della poetessa Maria Marchesi, venuti alla luce dopo anni di silenzio, e il buio che avvolge la vicenda biografica dell'autrice, acclamata e poi subito negletta dai circoli letterari. Una silloge dai toni aspri e ruvidi centrata sulla scissione tra lo spirito e il corpo della poetessa a lungo internata nell'ex manicomio romano di S. Maria della Pietà. Le violenze, gli abusi, le privazioni squadernate ora con disprezzo, ora con distacco, ma sempre con maestria lirica e potenza evocativa. Immagini e parole crude per designare un mondo in cui i veri folli non sono i pazienti. Nella prefazione lo psicoterapeuta Nicola Ghezzani traccia l'identikit della mente (di donna? di uomo?) che si cela dietro i versi. Nella postfazione l'editore svela i dettagli della caccia a un'identità anagrafica a cui attribuire gli inediti. Ne risulta un'appassionante iter "investigativo" in cui pseudonimo, identità reale e fittizia s'intrecciano in una vicenda romanzesca. L’editore, nel rendere omaggio a una leggenda, compie un viaggio – dentro a se stessa e dentro ogni lettore rapito dalla Marchesi – e ne compie uno a latere, alla ricerca mai affranta di una vera identità che incarni in tutto e per tutto le liriche qui raccolte. Chi è dunque la Marchesi, quale passato cela, perché scrive, ha figli, ha un’omonima? Che cosa importa, di tutto questo, se a noi restano comunque le odi finalmente raccolte e date alla stampa in “Non sono più mia”? Per concludere, la Marchesi è una donna che ha rinunciato alla ribalta e della quale non si hanno altre notizie se non quelle riportate in calce ai suoi primi due libri. Sbagliato sarebbe costruire una graduatoria fra le due borderline (Merini e Marchesi) alimentata dalla stessa Marchesi nella prefazione, mettendo in dubbio che la Merini abbia davvero vissuto l'inferno. Tuttavia nei testi di entrambe c' è la violenza manicomiale e la tenerezza dell'amore, il sentirsi la primavera crescere nelle vene e la consapevolezza che la scrittura possa dare unità ad un'anima franta. Così si legge anche nella Serie ospedaliera di Amelia Rosselli, tanto da poter affermare che in queste tre ancelle dannate sta il fondamento della poesia femminile del secondo novecento. Se Merini e Rosselli hanno avuto la canonizzazione che meritavano, credo sia giunto il tempo di restituire anche alla Marchesi il credito dovuto, perlomeno con studi critici che ne evidenzino l'originalità e la forza programmatica.  CHIARA PASSARELLA

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IN QUESTI ANNI ABBIAMO CORSO COSÌ VELOCEMENTE CHE DOBBIAMO ORA FERMARCI PERCHÈ LA NOSTRA ANIMA POSSA RAGGIUNGERCI

(Michael Ende)

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A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro, sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi.

(Carl Gustav Jung)