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In questi anni abbiamo corso così velocemente che dobbiamo ora fermarci perché la nostra anima possa raggiungerci. (Michael Ende) ---- A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro. Sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi. (Carl Gustav Jung)

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO:QUANDO LA BANDA PASSAVA...
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581. “KNA’AN” (2016) ALBUM DI ORPHANED LAND & AMASEFFER (ISRAELE) di Sky RobertAce Latini

“KNA’AN” (2016) album di Orphaned Land & Amaseffer (Israele) di Sky RobertAce Latini
Colonna sonora per opera teatrale su Abramo.  Etichetta: Century Media Records

Israele e il Metal hanno già una loro piccola storia locale. Negli ultimi tempi esposta anche a livello internazionale. Il combo più famoso è quello degli Orphaned Land (5 album dal ’94) provenienti dalla città di Petah Tikva, e realtà musicali come questa risentono delle vicissitudini di un popolo. Il messaggio e i suoni degli O.Land si legano più o meno volontariamente alla situazione geografica in cui sono situati, della contrapposizione fra schieramenti. Rispetto ad altri gruppi del posto, come gli Hammercult di Tel Aviv, gli Orphaned Land cercano sempre una poetica di tipo importante dal punto di vista storico e culturale. Lo stesso può essere detto per gli Amaseffer di Tel Aviv, che hanno pubblicato un solo album nel 2008 (“Slaves for Life”), ma dal tema serio che racconta la schiavitù in Egitto e l’esodo, rifacendosi al Vecchio Testamento. Il batterista degli Amaseffer e l’intera band degli Orphaned L. (vi si è attivato anche il drummer di quest’ultimi, quindi due batteristi) hanno risposto alla richiesta di Walter Wayers, direttore teatrale del Landestheater di Meminngem (Germania), di scrivere la colonna sonora di un’opera che narri la storia di Abramo. Lavoro su commissione quindi, ma fortemente ispirato, a giudicare dal risultato, probabilmente perché risponde anche ad una esigenza poetica e umana degli artisti in campo. Aleggia un turbamento compositivo di forte carattere emotivo. E quest’ansia si trasmette all’ascoltatore in modo avvincente. Il retroterra dei compositori è rock, Progressive-Metal per la precisione, con forti impronte orientaleggianti, per questo detto anche Oriental-Metal; più orientale dei soliti dischi degli Orphaned Land, in linea però con quello degli Amaseffer (che avevano anche un po’ di sinfonismo). Il Metal, ripeto, c’è, è persistente, ma non si affaccia con prepotenza. La qualità è buona, e anche se solo tre brani su 13 superano i quattro minuti, nessun episodio appare riduttivo, nemmeno quelli sotto i due minuti (forse solo l’intro “The Holy land of Kna’an” fa eccezione). Dobbiamo tener sempre presente che i pezzi sono nati per raccontare e descrivere, quindi, nel dover sottolineare eventi e fatti, hanno nella tempistica un loro limite; limite che però non si evince grazie alla bellezza dei pezzi e alla capacità creativa degli autori. La delicatezza di vari passaggi soft, e la raffinatezza di quelli più tonici, fanno respirare una atmosfera dark che si alterna a sensazioni luminose, sempre con passionale espressività. I pezzi con emanazioni di rock duro sono solo cinque con all’apice  “THE ANGEL OF THE LORD”, prima traccia dopo l’impalpabile intro: riff ad effetto con un cupo incedere legato anche ad una voce sussurrata ma greve; il coro del ritornello è la parte ariosa ma un altro coro è più oscuro. L’assolo, l’unico vero e proprio del full-lenght, apre un’altra finestra di luce. L’accento maggiormente pesante è dato dal doom di “THE BURNING GARDEN” e dalla immediatamente successiva parte cantata con voce femminile, sotto cui sta un arrangiamento rarefatto che nell’insieme ricorda chiaramente i sulfurei e opprimenti Black Sabbath del 1970. In realtà la song procede con diversa introspezione utilizzando una verve più morbida che in qualche modo si rifà ai più melodici Cranberries con increspature a fine frase per dare un senso di acredine. Bello l’ingresso di “There is no God for Ishma’el” per un altro momento metal, ben ritmato ma che è nella voce che mantiene un senso di inquietudine. L’oriente di “Akeda” ricorda invece l’oriente di alcuni brani di Blackmore coi Rainbow, rubando persino un passaggio da “Gates of Babylon” (“Long Live Rock’n’Roll”-1978) del suddetto, come se nascere in medio oriente non fosse sufficiente a trovare ispirazione; assolo chitarristico non pienamente sviluppato. Relativamente hard è “Fruits from different Trees”, in effetti lo è solo sul finale, mentre inizia con una certa delicatezza calda, la quale però si impone virilemente; e i riff distorti poi si ammantano di coralità molto etnica. Fin qui i mattoni metallicamente duri. Ma anche le attrattive soft hanno valenza metal, in quanto le molte ballate, che rientrano tipicamente nel genere, come l’acustica e gentile “A TREE WITHOUT NO FRUIT”, fortemente folk e classicheggiante, sono infatti concettualmente nei parametri rock. Fa eccezione “The Vision”, data la sua essenza molto etnica; ma questo pezzo è anche l’unione dell’alto livello algido evanescente con la presenza di effetti speciali,  una serie di tuoni molto potenti che deflagrano concreti nelle orecchie, da contrapporre alla sofficità. Dove il folk si riverbera nettamente, è nel dinamismo orientale che innalza “NAKED-ABRAHAM” tra i migliori brani del lotto, la cui ritmica è data anche dalla struttura acustica; gran bellezza emana la vocalità maschile suadente di Farhi. La conclusione dell’album è una stupenda “PRISONERS OF THE PAST” guidata dalla doppia voce, maschile e femminile, ben accompagnata dalla chitarra ritmica, acustica anch’essa. Quest’ultima traccia è però anche la morale conclusiva dell’opera che sottolinea come si sia schiavi di uno schema difficile da distruggere: “Impareremo mai alla fine? Eterni prigionieri del passato; tragici circoli d’odio. Due mani con fucili e libri e fede; per superarlo noi dobbiamo redimere i prigionieri del passato”. 
La specificità culturale della musica suonata in questa opera, è ben in grado di evocare le tematiche di quella teatrale. Si sfuma spesso in un afflato gotico condito di avvolgenza conturbante, con esiti di magnetismo, tramite una immediatzza di fruibilità tanto nelle ingerenze meno orecchiabili, quanto in quelle semplici. Niente estremismi nonostante le sonorità ombrose, e questo serve al fatto che l’offerta è ad un pubblico generalista, sebbene i suoni hard non siano edulcorati del tutto, e ciò invece sorprende un po’, appunto per il target a cui è destinata. Per  la lingua cantata, viene utilizzato sia l’ebraico, sia l’inglese. La parte vocale, fortemente curata, risulta il mezzo che rende accessibile anche le parti strumentali meno facili. Non c’è la vocalizzazione in growling, quella tecnica da ugola roca e cavernosa come un ruggito gutturale che gli Orphaned Land sono abituati ad usare. Le composizioni si mostrano empatiche, con l’abilità di farsi piene di emozionale sentimento. Un livello artistico che appaga le aspettative. La lunghezza del tutto si limita a 38 minuti circa, ma ponendosi in modo esauriente, senza lasciare sensazioni di incompletezza. Roberto Sky Latini
1. The holy Land of Kna'an          2. The Angel of the Lord               3.Naked - Sarah and Abraham
4. The burning Garden - Sarah and Hagar      5. Naked - Abraham   6. A Tree without no Fruit - Sarah
7. There is no God for Ishma'el           8. The Vision              9. A Dove without her Wings - Hagar
10. The Loneliness of Itzhak        11. Akeda          12. Fruits from different Trees - Ishma'el and Itzhak
13. Prisoners of the Past 

Kobi Farhi (Orphaned Land) – vocals      /      Erez Yohanan (Amaseffer) - drums
Chen Balbus (Orphaned Land) – guitars      /      Idam Amsalem (Orphaned Land) - guitars

Uri Zelcha (Orphaned Land) – bass               /        Matan Shmuely (Orphaned Land) – drums

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IN QUESTI ANNI ABBIAMO CORSO COSÌ VELOCEMENTE CHE DOBBIAMO ORA FERMARCI PERCHÈ LA NOSTRA ANIMA POSSA RAGGIUNGERCI

(Michael Ende)

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A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro, sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi.

(Carl Gustav Jung)