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In questi anni abbiamo corso così velocemente che dobbiamo ora fermarci perché la nostra anima possa raggiungerci. (Michael Ende) ---- A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro. Sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi. (Carl Gustav Jung)

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO

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598. POESIE LUCANE DI ROCCO SCOTELLARO di Chiara Passarella

POESIE LUCANE di Rocco Scotellaro

Fra me e te
voglio piantare un frutteto.

Con le tue braccia intreccerò una vite
e quando la pioggia verrà
non ti lascerò sola.

Appena il sole sarà alto
ti canterò nelle vene.

Ogni sera verrò a bere
ai tuoi grappoli,
poi l’ alba verrà

                                            Rocco Scotellaro   da “Poesie Lucane”

Forse è arrivato il tempo di scarcerare Rocco Scotellaro. Il poeta, lo scrittore, il politico, il contadino. La figura di Rocco è stata per troppo tempo imprigionata dalla sua stessa grandezza e appartenenza. Il regionalismo in cui è stato relegato per troppi anni, ha impedito sia in passato che oggi di scavare realmente appieno la figura di un uomo e di un letterato di dimensioni gigantesche.  Sono state scritte centinaia di pagine sul poeta "della libertà contadina", come lo descrisse Carlo Levi, ma, come spesso accade,  poco lo si è letto, colpa anche di miopi editori che non hanno mai pensato ad un piano editoriale vero sulle opere che abbracciano il romanzo, la poesia, l'inchiesta e le epistole.  Come disse Moravia di Pasolini, i poeti dovrebbero essere protetti, perché ne nascono tre o quattro in un secolo, e 
Scotellaro appartiene a questi tre o quattro del secolo scorso. Cito Pasolini non a caso, ma per una linea che li unisce, una strada poco battuta dai critici. Scotellaro ancor prima di Pasolini, se non altro per ragioni anagrafiche, si occupò dei problemi del sottoproletariato, nel suo caso quello dei contadini nelle campagne di un Mezzogiorno dimenticato e periferico della Basilicata dei primi anni del Novecento. Operazione che Pasolini sposterà meritoriamente nelle borgate anch'esse dimenticate e periferiche delle città che raccoglievano quegli stessi contadini in fuga come veri e propri profughi. Poi li accomuna la passione politica attraverso la quale intervenire per alleggerire le pene materiali di uomini e donne ultimi tra gli ultimi. Non è un caso che Pasolini sceglierà Matera per dare una casa ai suoi film.  Scotellaro nasce nel cuore della Basilicata a Tricarico, nel 1923 e muore a Portici nel 1953. Campa trent'anni esatti. Nasce da padre ciabattino e madre scrivana e casalinga. Dalla madre prende l'amore per le lettere, dal padre quello per il lavoro. Studia per poco tempo a Tricarico, poi il padre intuendo le sue capacità, e speranzoso in un riscatto sociale tramite lo studio lo manda a malincuore suo, e soprattutto di Rocco, a Sicignano degli Alburni, dai preti come si usava allora, unica strada per chi avesse in animo lo studio. Continuerà poi a Cava dei Tirreni, Trento, Roma. Con passaggi a Tivoli, Matera e Potenza. Alla morte del padre decide di tornare nella sua terra, e qui comincia il suo lavoro politico e sociale. La condizione dei contadini è di miseria pura. La paga quando c'era lavoro era di circa 5 lire al giorno e un chilo di pane costava 1 lira e mezza. Rocco organizza le prime occupazioni delle terre. Organizzare. Questa parola è una delle più importanti per Scotellaro in quel periodo. Si rende conto che la necessità di organizzare i contadini, il popolo, è la priorità assoluta per poter esigere e contemplare una speranza di realizzazione delle richieste di dignità, lavoro e giustizia, ormai così urgenti da non poter essere procrastinate nemmeno di pochi giorni. I contadini lo ascoltano, sentono che le loro necessità sono nelle mani di questo minuto e colto ragazzo con la faccia da bambino e i capelli rossi. Si rendono conto che Scotellaro sta dando voce ad un popolo sinora muto. Si rendono conto che la cultura è azione, realtà, vita. La poesia come viatico per una vita migliore e non solo dal punto di vista intellettivo ed intellettuale. Ma nella concretezza che le parole sanno esprimere e sanno chiedere. Il racconto, la poesia come arte e pane. Poi accade che la guerra finisce, nel 1946 ci sono le prime elezioni libere, Rocco Scotellaro diventa il più giovane sindaco d'Italia a soli 23 anni. Bisogna costruire un ospedale, i nosocomi più vicini sono troppo lontani, la gente ha bisogno di curarsi, non morire per malattie banali. Rocco non ha nessuna aspettativa da uno stato centralista e scarsamente interessato a regioni che contano pochi voti. Si inventa la "questua" laica. Raccoglie i soldi dalla gente, ognuno secondo la propria possibilità. Si fa dare un ala del palazzo vescovile e il primo ospedale civile costruito e mantenuto dal popolo nasce nel 1947. Si batte per la riforma agraria che arriverà nel 1950, ma snaturata delle richieste reali di cui necessitano i braccianti. Nel frattempo la sua produzione letteraria continua e gli apprezzamenti arrivano da tutta Italia, specie da colleghi e critici che scoprono un vero talento. Montale, Carlo Levi, Manlio Rossi-Doria, Amelia Rosselli ed altri ne tesseranno le lodi. Scotellaro a questo punto ha un'altra intuizione, far conoscere i problemi sociali del Mezzogiorno coinvolgendo non solo intellettualmente ma anche fisicamente queste illustri figure, in rispetto al concetto di parola e concretezza, da lui praticato. Si recano in Basilicata Henri Cartier Bresson, che fotograferà le condizioni reali della gente, Adriano Olivetti che si impegnerà nel risanamento di Matera città vergogna d'Italia, Manlio Rossi-Doria, e lo stesso Carlo Levi, di ritorno dopo il confino iniziato a Grassano, il paese confinante con Tricarico che darà, piccola nota di colore, i natali alla madre del futuro sindaco di New York,  Bill De Blasio. Il fermento che nasce in questo periodo porterà poi dibattiti e azioni concrete, sulla "questione meridionale" che diventerà tema centrale della politica e del mondo della cultura. Nella vita di Rocco Scotellaro, non mancano i guai. Conoscerà anche il carcere. Questo episodio va introdotto con una nota di carattere storico. Il fatto che un giovane socialista, per giunta poeta e onesto, fosse diventato sindaco, non era cosa gradita a quella classe politica che sostanzialmente era rimasta immutata dal fascismo con delle minime operazioni di spolvero superficiale. I nuovi "mazzieri", si prodigarono con l'altra arma, oltre alla violenza, che conoscevano; la calunnia. Scotellaro fu accusato di peculato. Quella del carcere fu una dura esperienza da cui uscirà devastato. Rimase nella cella 7 del carcere di Matera per 45 giorni. Giorni in cui leggeva ai suoi compagni di reclusione il Cristo si è fermato ad Eboli di Levi e la Divina Commedia di Dante. Una volta che la corte d'Appello di Potenza decretò il non luogo a procedere per inesistenza del fatto, Scotellarò uscì e decise di dimettersi, deluso dalla politica, ma non esausto del suo ruolo realizzò che avrebbe potuto continuare a lottare tramite la letteratura, la poesia e l'inchiesta. Questo è il periodo più fecondo e di maggiore attività. Viaggia molto e scrive molto, fino alla morte che avverrà nel 1953, per l'occlusione di una vena generata da altra malattia non adeguatamente curata. Stava scrivendo L'uva puttanella, quando muore, infatti il romanzo se pure di senso compiuto e maturo rimarrà incompleto. In esso si realizza la materia letteraria dello Scotellaro narratore. I volti dei suoi contadini diventano vividi talmente toccanti da apparire magici, con rughe vere e capelli bianchi che cadono sulla terra rossa e danno un contrasto materico e graffiante, come un filo d'erba che ti taglia le dita quando lo strappi male. L'uva puttanella diventa iconografia del sottoproletariato, i piccoli uomini come piccoli acini, di dimensioni ridotte ma mature, che confluiranno nel mosto insieme a tutti gli altri. Con le parole dell'autore: "L'ordine che non c'è non lo troverete come appunto è nel grappolo d'uva che gli acini sono di diversa grandezza anche a voler usare la più accurata sgramolatura. Questi sono acini piccoli, apireni, se pur maturi, che andranno ugualmente nella tina del mosto il giorno della vendemmia. Così il mio piccolo paese fa parte dell'Italia. Io e il mio piccolo paese meridionale siamo l'uva puttanella, piccola e matura nel grappolo per dare il poco di succo che abbiamo." Lui stesso sembrava presagire che non avrebbe finito il romanzo, lo definirà "...il romanzo che non finirò" in una lettera all'amico Alberto Carocci, lettera del 14 Dicembre 1953, il giorno prima di morire. Montale lo accostò a Chagall, Luchino Visconti suo grande estimatore diede il suo nome al protagonista del film Rocco e suoi fratelli. Dunque rivalutare la figura di Rocco Scotellaro, anzi no! Non bisogna rivalutare Scotellaro, bisogna solo dare a tutti la possibilità di leggerlo, non c'è bisogno di rivalutarlo, basterebbe diffonderlo, parlarne, recitarlo e più di ogni altra cosa ripubblicare le sue opere.Anche perché come avrebbe detto Rocco stesso: "Nessuno può rivivere con la sua scrittura. Tutti restano nella nicchia d'aria che muovono."  Un’altra poesia:

Sempre nuova è l'alba
Non gridatemi più dentro
non soffiatemi in cuore
i vostri fiati caldi contadini.
Beviamoci insieme una tazza colma di vino
che all'ilare tempo della sera
s'acquieti il nostro vento disperato.
Spuntano ai pali ancora
le teste dei briganti, e la caverna -
l'oasi verde della triste speranza -
lindo conserva un guanciale di pietra ...
Ma nei sentieri non si torna indietro.
Altre ali fuggiranno
dalle paglie della cova,
perché lungo il perire dei tempi
l'alba è nuova, è nuova.


CHIARA PASSARELLA

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IN QUESTI ANNI ABBIAMO CORSO COSÌ VELOCEMENTE CHE DOBBIAMO ORA FERMARCI PERCHÈ LA NOSTRA ANIMA POSSA RAGGIUNGERCI

(Michael Ende)

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A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro, sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi.

(Carl Gustav Jung)