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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO
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596. SILENZIO, UN VALORE SOTTOVALUTATO da un'Americana a Venezia
Quando i vicini di casa hanno preso due
cuccioli, un paio di cagnette tipo corgi, temevo il peggio. La famiglia in questione consiste di un padre
che per consolarsi s'accompagna alla chitarra mentre fa karaoke Anni '80 in
cantina, della moglie, donna chiassosa, e di due figlie che da bambine
combattevano come nemiche giurate, mentre da donne sono diventate come la
madre. Il nuovo genero abita da loro ed
è, stranamente, silenzioso. Oggi, mentre lavoravo all'aperto, impegnata a
combattere un'erbaccia infestante proveniente dal giardino di questi stessi vicini,
meditavo le parole di Madre Teresa di Calcutta sull'argomento del silenzio. Brillava il sole, soffiava una brezza
profumata di primavera, cantavano divinamente i merli, e poi, tutto ad un
tratto, sento, "Ciao. Ciao. Ciao.
Ciao..." La figlia neo-sposa
miagolava la parola "ciao" almeno venti, forse trenta, volte
consecutive, finché le cagnette, Buffa e Ciccia, non hanno cominciato a fare dei
suoni strazianti. "Brave, bravissime
cagnette!" la neo-sposa ha detto loro, contenta. Ahimè, questi vicini dall'Inferno Acustico stanno
insegnando a parlare alle cagne! Hanno
visto qualche video su YouTube, scommetto, e ora allenano le bestiole, che già
abbaiano come matte per un nonnulla, per il loro debutto in rete. Le sorelle umane, invece, si erano preparate almeno
una volta per una competizione di canto pop.
Pare che questa famiglia non conosca il silenzio, se non durante la
messa o forse nel sonno. Poi c'è un
altro vicino di casa che è troppo vecchio per un MP3 ma troppo giovane per
rinunciare alla radio. La domenica la
accende ad alto volume, discretamente collocata dietro il portone aperto del
garage. Così, accompagnato da Radio
Anarchica oppure da una partita, il mio vicino trapana, sega e martella. Qualche volta aggiusta la macchinetta a
batterie comprata per i nipoti, per un pomeriggio di allegro chiasso. Altri vicini non tengono più l'orto, però hanno
preso il vizio del prato inglese. Quando
arriva la bella stagione, puntualmente fanno il rumore di una fabbrica metalmeccanica. Al cessare del motore del tosaerba, segue un
silenzio quasi assordante. Poi c'è il
ragazzo della porta accanto che ha comprato un lemon, limone, termine americano per una vettura con problemi fin
dalla nascita. La sua nuova motocicletta
non si avvia al primo colpo. Ci vogliono
diversi colpi, una decina almeno. Anche
se il ragazzo è quieto come un topolino, tutti sanno quando è in partenza. Abitiamo nella terraferma veneziana in un
quartiere popolare nato dopo la guerra. Molti
veneziani sono arrivati qui assieme alla gente di campagna che già lavorava
nelle fabbriche di Marghera, che sono quasi tutte chiuse ormai. Prima di costruire, qualcuno ha dovuto riempire
i buchi fatti da bombe americane e inglesi che miravano alla vicina
stazione. Le case si succedono in stradine
che una volta non esistevano, quando erano terra di nessuno. Qui una volta si sentivano solo le rane e gli
uccelli, anche quelli acquatici. Ora la
gente convive in terraferma nel senso più letterale del termine
"convivere". E' facile
indovinare il carattere e le abitudini delle persone vicine, dal momento che
tutto fuoriesce dalle finestre oppure viene vissuto all'aperto, nei giardini ai
bordi della stradina: le parole, le risa, le urla, le imprecazioni, assieme al
ronzio degli aspirapolveri e agli odori di bucato, di cibo e di fumo. Tutti i suoni della comunità rimpiombano fra
le mura delle case. Grazie alla proverbiale
pazienza italiana, e un pò meno al senso civico, non ce le diamo di santa
ragione ogni giorno durante la bella stagione.
Siamo un villaggio globale. In
questa stradina oramai si sente il russo delle ucraine che vengono dall'est
dell'Ucraina ed anche l'ucraino parlato da quelle che arrivano dall'ovest del
Paese. Si sente un solo accento inglese,
un pò di cinese, di rumeno, di albanese, tutto mescolato con la lingua della
maggioranza, il veneziano. Una volta rimpiangevo
il "sogno americano", cioè, la villetta isolata su un prato verde, ma
negli ultimi anni nel mio piccolo angolo di Venezia, ho imparato ad apprezzare questa
vicinanza per il senso di sicurezza che infonde, ed anche per il benedetto silenzio
quando c'è. E spesso c'è. Nel silenzio che avvolge questo quartiere in
certi momenti, ascolto volentieri gli uccelli che abitano nell'abbondante verde
che ci circonda. Sento le campane,
quelle vere e quelle registrate, delle chiese vicine. Nel silenzio noto il ronzio degli aerei che
passano sopra la testa e il tran tran dei treni che corrono non distanti. Sento il viavai dell'umanità sulla
tangenziale, le sirene di emergenza, le sirene di inizio lavoro, le grida
dirompenti dei giovani che finiscono le lezioni, i sistemi di allarme che strillano,
gli occasionali horn imponenti delle navi
da crociera che lasciano il cantiere, l'abbaiare dei cani della zona e le
baruffe dei gatti. Apprezzo sempre di
più le pause fra questi suoni. Sono la
punteggiatura della storia della vita. A
proposito, che cosa aveva detto Madre Teresa di Calcutta del silenzio? "Abbiamo bisogno di trovare Dio, e non
può essere trovato nel chiasso e nella irrequietezza. Dio è amico del silenzio. Guardate come la natura--alberi, fiori,
erba--cresce in silenzio; vedete le stelle, la luna e il sole, come si spostano
in silenzio. . . Abbiamo bisogno di silenzio per toccare le anime." Così sia. Spero solo che Buffa e Ciccia, anime bisognose
di farsi amare, si stuferanno presto di sentirsi "parlare". Per carità. UN'AMERICANA A VENEZIA
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